GLI OCCHI E LA MENTE DI DANTE

 

A ridosso della fine dell’anno scolastico, si può iniziare pensare, e a proporre agli allievi che andranno in vacanza, qualche occasione di visita e di approfondimento di un tema, sicuramente in diversa misura, affrontato in classe. Anche per ricominciare a “vedere” con gli occhi, non solo della mente, ma del corpo.
In questo 2021, protagonista d’eccezione è Dante Alighieri nel settimo centenario della sua morte. Vi segnalo qualche stimolante esposizione ed una lettura che può introdurre alla visione e ad un’originale conoscenza del poeta e della sua più nota creazione, la Divina Commedia. L’agile inserto del numero di aprile di Art e Dossier (rivista Giunti, facilmente reperibile in edicola o in qualche libreria ben fornita, che possa recuperare anche gli arretrati) dal titolo Dante e le arti, curato da Marco Bussagli, ci guida, passo dopo passo, nel vasto universo figurativo dantesco, prendendo le mosse dal contesto artistico fiorentino in cui Dante era cresciuto e che ha sicuramente alimentato la scrittura del poema, fino ad arrivare alla fortuna della Divina Commedia nelle arti figurative e alle contemporanee arti visive come il cinema.

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Per quel che riguarda le mostre, la parte del leone spetta alla rassegna ravennate dal titolo “Dante. Gli occhi e la mente. Le arti al tempo dell'esilio”, ospitata nella Chiesa di San Romualdo dall’8 maggio al 4 luglio. Curata da Massimo Medica, direttore dei Musei Civici d'Arte Antica di Bologna, segue le tappe dell'esilio dantesco, attraverso una selezione di opere fondamentali dei più importanti artisti del tempo di Dante, concesse da musei nazionali e internazionali. “Nell’affrontare la figura di Dante più volte ci si è interrogati sul particolare ruolo che l’esperienza visiva poté avere nella concezione delle sue opere; molti hanno notato la capacità del poeta di pensare direttamente per immagini, attingendo, soprattutto nella Commedia, a un repertorio che certamente doveva comprendere anche le esperienze figurative.”
A Firenze, ha potuto vedere, di Cimabue, la Madonna di Castelfiorentino, presente in mostra, insieme alla Madonna di San Giorgio alla Costa e al Polittico di Badia di Giotto, del quale Dante scrisse, nel celeberrimo passo del Purgatorio, «Credette Cimabue ne la pittura tener lo campo e ora ha Giotto il grido».”

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Giotto, Polittico di Badia,1295-1297, temp. e oro su tav., 137.5x345 cm., Gallerie degli Uffizi, Firenze

 

Le testimonianze di Nicola e Giovanni Pisano affiancheranno quelle di Arnolfo di Cambio (Galleria Nazionale dell’Umbria) a conferma della preminenza attribuita dal poeta all’arte plastica, come attestano le numerose citazioni contenute nella Commedia.

Particolarmente documentata è l’esperienza dell'esilio, dal 1302, a cui fu condannato da Bonifacio VIII: del pontefice è presente una grande statua ieratica e di certo piuttosto arcaica nelle forme, rispetto ai prodotti più maturi degli scultori gotici contemporanei, originariamente collocata, nel 1301, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Bologna, per volere del Consiglio del Popolo, a testimonianza di un intervento di pacificazione del Papa, in occasione della lotta tra Bologna e Ferrara.

Preziosi tessuti, oreficerie, tavole dipinte e sculture, ad esempio quelle del cosiddetto Maestro di Sant’Anastasia, documentano la sosta del poeta alla corte veronese, prima di passare a Padova.

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Manno Bandini da Siena, Statua di Bonifacio VIII, 1301,
legno e rame dorato, h 275 cm., Bologna Museo Civico Medievale

 

Dei maestri padovani della miniatura, molto ammirati da Dante, in mostra compare, per la prima volta, il preziosissimo Offiziolo, ora di proprietà privata, appartenuto al poeta Francesco da Barberino, amico dell’Alighieri. In questa sezione, si può ammirare anche uno dei capolavori assoluti dell’arte della miniatura, la Bibbia Istoriata appartenuta a Carlo V, eccezionalmente concessa dalla Biblioteca del Monastero dell’Escorial.

Vorrei, infine. segnalare, tra le opere più interessanti, una Madonna in Trono con Bambino, realizzata in marmo tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento, che per secoli aveva protetto il sarcofago di Dante e che torna a Ravenna dopo 160 anni. Nel 1860, venne acquistata a Ravenna dal nobile collezionista francese Jean-Charles Daviller e, nel 1884, la donò al Museo del Louvre.
Il poeta era stato sepolto in una piccola cappella addossata al muro del convento di San Francesco a Ravenna, anticamente conosciuta come “Cappella della Madonna” per la presenza di un’antica immagine mariana, identificata dallo studioso Corrado Ricci con quella oggi conservata al Louvre. L’altorilievo presenta la Vergine in trono, elegantemente drappeggiata, mentre il Bambino benedicente, con l’autorevolezza di un Maestro, stringe il Rotolo delle Sacre Scritture con la sinistra.

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A Verona, dall’11 giugno al 3 ottobre, sarà visitabile alla Galleria d’Arte Moderna Achille Forti la mostraTra Dante e Shakespeare. Il mito di Verona”, a cura di Francesca Rossi, Tiziana Franco, Fausta Piccoli. La città scaligera, che diede “lo primo tuo refugio e ’l primo ostello” (Paradiso, XVII, 70) a Dante, ha inteso ricostruire, innanzitutto, il rapporto tra Dante, Verona e il territorio veneto; in secondo luogo, si è soffermata sul mito di Dante nella grande stagione ottocentesca, come incarnazione dei nascenti ideali risorgimentali e, allo stesso tempo, esempio del tormento creativo del Poeta esiliato. Sono oltre 100 le opere - tra dipinti, sculture, opere su carta, tessuti e testimonianze materiali dell’epoca scaligera, codici manoscritti, incunaboli e volumi a stampa in originale e in formato digitale provenienti da collezioni e musei pubblici e privati – che potremo ammirare. Segnalo solo i tre disegni di Botticelli, un prestigioso prestito del Kupferstichkabinett di Berlino, e la sezione dedicata alla “fortuna iconografica dei personaggi danteschi, a partire da Beatrice e Gaddo, ma anche di altre figure femminili e delle tragiche vicende, legate al tema dell’amore e degli amanti sfortunati, di Pia de’ Tolomei e Paolo e Francesca.”

Dall’8 marzo al 3 ottobre, sempre a Verona, nel Museo di Castelecchio, Sala Boggian, è aperta la mostra “Dante negli archivi. L’Inferno di Mazur”, a cura di Francesca Rossi, Daniela Brunelli, Donatella Boni. Sono esposte quarantuno acqueforti e acquetinte che l’artista americano Michael Mazur produsse ispirandosi alla prima cantica della Divina Commedia per comporre il libro d’artista Michael Mazur. Etchings. L’Inferno. Dante, stampato in tiratura limitata di 50 copie in collaborazione con il maestro tipografo Robert Townsend. L’opera grafica è accompagnata dai corrispettivi brani del testo originale di Dante con, a fronte, la fortunata traduzione in inglese dell’Inferno realizzata dal poeta Robert Pinsky.
All’interno delle teche disegnate da Carlo Scarpa, le acqueforti e acquetinte testimoniano il confronto tra un interprete contemporaneo e l’immaginario medievale, tra segno grafico e linguaggio poetico, frutto della lunga meditazione di Mazur: di grande fascino è anche il breve video con l’artista al lavoro che propone il sito del Museo.

 

 

 

A cura di:

GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.

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