La poesia dipinta di Filippo de Pisis

La mostra, aperta al Museo del Novecento fino al 1° marzo 2020 e curata da Pier Giovanni Castagnoli e Danka Giacon, dedicata al pittore ferrarese Filippo De Pisis è un’occasione unica per poter osservare da vicino più di 90 opere dell’artista, più o meno note e provenienti da collezioni pubbliche e private, ma ancor più eccezionale è poter vedere, a breve distanza, nelle sale di Palazzo Reale, fino al 19 gennaio del prossimo anno, una grande esposizione delle opere di Giorgio de Chirico, di cui si indagano le origini culturali fino alla scoperta della “dimensione” metafisica e ai contatti con i pittori surrealisti, che considerarono de Chirico un maestro.

Il periodo tra la metà degli anni ’10 del XX secolo e gli anni che precedono la II Guerra mondiale sono, per la vita artistica italiana, tra i più ricchi e, forse, ancora troppo poco conosciuti ed apprezzati, fatta eccezione per i movimenti più celebrati, come il secondo Futurismo o il Novecento italiano. S’incontrano, in città italiane come Ferrara o Bologna, nel caso di Morandi, o lungo le coste, come nel caso di De Pisis e Carrà, ma anche a Parigi e Londra, dove spesso si recano attratti dalle novità culturali, artisti che “viaggiano” da soli, concentrati nella loro contemplazione del mondo e nell’ascolto del proprio universo interiore.

Dopo gli anni della formazione, letteraria ed artistica, a contatto figure di rilievo che scrivevano, ad esempio, su “La Voce” e “Lacerba”, De Pisis vive un anno fondamentale per l’avvio della carriera, il 1916, durante il quale conosce a Ferrara De Chirico e il fratello Savinio, che lo stimolano a sperimentare il linguaggio “metafisico”: tra le pere esposte, merita uno sguardo Natura morta occidentale del 1919 (Collezione della Fondazione Cariverona) per l’originalità degli accostamenti tra oggetti  e tra oggetti e spazio; altrettanto singolare è Natura morta con le uova del 1924, conservata a Brera: in questi esempi di nature morte, come in molte altre esposte, acquistano ancora maggiore evidenza le parole dell’artista: “La Metafisica è fatta spesso più di semplicità, chiarezza, sonorità e palpito che di ricerca e di aridità.”

de pisis natura mortaMentre le opere di de Chirico, appaiono, negli stessi anni, costruite con rigore architettonico, rievocando spazi rinascimentali e, con essi, precisi riferimenti alla tradizione pittorica italiana, i dipinti di De Pisis si orientano a presentare in modo più “disordinato” e sempre straniante, secondo la logica metafisica, oggetti legati alle sue personali esperienze di vita, come nella Natura morta con il capriccio di Goya, dove colloca in bella evidenza, all’estremità del piano ingombro di disparate presenze, un’incisione del maestro spagnolo a lui caro. Qui, la nitidezza grafica e coloristica delle opere degli anni precedenti sta lasciando il posto a stesure più rapide, accennate, a quella “sonorità e palpito” che le cose trasmettono ad un animo sensibile.

 

 

 

Negli anni parigini -l’artista si trasferisce nella capitale francese dal ’25- frequenta artisti d’avanguardia, come Picasso e Matisse, scrittori come Svevo e Joyce, ma si attiene costantemente alla linea guida del suo percorso, che richiede soggetti semplici -nature morte, vedute cittadine e ritratti- con accostamenti personalissimi e stesure essenziali, che corrispondono al sentimento del presente più che ad astrazioni mentali, come ne La bottiglia di champagne del 1928, La tenda rossa del ’31, Ring Square del ’35 o Ponte di Rialto del 1947, una delle tante vedute veneziane in punta di pennello, in cui la leggerezza degli edifici della città lagunare arrivano fin quasi alla dissolvenza.

La fine degli anni ’20 e gli anni ’30 vedono l’artista viaggiare spesso, partecipare a mostre internazionali, come la Biennale di Venezia, ed ottenere numerosi riconoscimenti, ma durante gli anni della guerra iniziano a manifestarsi i sintomi della malattia nervosa che lo condurrà, negli anni successivi, al ricovero: dal ’49 è curato nella casa per malati mentali Villa Fiorita di Brugherio, dove rimarrà fino alla morte.

Due opere, tra le tantissime stupefacenti, a mio parere, possono farci penetrare ulteriormente nel mondo di De Pisis, La lepre del ’32 e la grande Natura morta del ‘44 conservata al Museo del Novecento.

Nella prima, la presenza assoluta dell’animale morto, col pelo arruffato, che possiamo quasi sentire sotto i polpastrelli, e le gocce di sangue sul muso e sul tavolo, è una delle più profonde e “partecipate” meditazioni sulla fragilità della vita che l’artista abbia tentato; la seconda, è una monumentale testimonianza di quel senso di vuoto e di leggerezza preziosi, perché ogni presenza è preziosa agli occhi del pittore, che più volte ci ha mostrato nelle sue marine con conchiglie giganti o nei pesci morti sul tavolo della cucina.

de pisis la lepre               de pisis natura morta

Non possiamo che concordare con l’artista quando scrive “L’arte è indefinibile come la vita perché ad essa equivale.

Il mistero primo, e la fatale realtà, domina anche la creazione più dello spirito estatico ed astratto.”

Affrettiamoci ad avvicinare questo singolare testimone del secolo passato, ma assai vicino alla sensibilità dell’uomo del XXI, i cui smarrimenti possono trovare qualche discreta risposta nelle tele di questo poeta della forma.

Dopo la chiusura a Milano, la mostra sarà ospitata al Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, nell’ambito del programma dedicato all’arte del Novecento italiano: lì si potrà vedere una selezione di carte e di acquerelli riguardanti la riflessione di De Pisis sull’antico.


 A cura di:

GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.

CDOLogo DIESSEDove siamo