LE MERAVIGLIE DELL'HANGAR BICOCCA

 

Nel moderno quartiere Bicocca, sorto a partire dal 1986, accanto a residenze private, edifici universitari e centri direzionali, spiccano le geometriche strutture dei vecchi stabilimenti della Pirelli, le cui “Navate”, erette tra il 1963 e il 1965, erano destinate al reparto trasformatori: qui si montavano e provavano macchine elettriche di grande potenza..

Riqualificati, sono diventati uno spazio espositivo per l’arte contemporanea, uno tra i più propositivi e spettacolari di Milano, uno di quei rari ambienti in cui si può realizzare un’attività didattica “sul campo”.

Dal 2004, una delle Navate accoglie in modo permanente I Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer. Ma fino al 23 Febbraio 2020, la Navata accanto e il Cubo (edificio cubico voltato a botte costruito dalla Breda Elettromeccanica e Locomotive nel 1955) ospitano “… the Illuminating Gas”, la più grande mostra mai realizzata da Cerith Wyn Evans. Sia le installazioni di Kiefer che le 25 opere luminose di Evans possono diventare un’occasione preziosa per avvicinare al linguaggio artistico contemporaneo anche chi non lo frequenta abitualmente o chi afferma di non comprenderlo. Nello stesso tempo, le opere dei due artisti, con la loro imponenza ed essenzialità, suggeriscono confronti con monumenti del passato – nel caso di Kiefer-, e con diverse esperienze di utilizzo e fruizione dell’elemento “luce” (ad esempio i neon di Lucio Fontana, Mario Merz, Dan Flavin o Bruce Nauman) nel caso di Evans.

settepalazzicelesti

I Sette Palazzi Celesti è un’installazione site-specific, composta da due interventi di Kiefer: il primo, che prevedeva la realizzazione delle sette torri, del 2004, modificato nel 2015, il secondo, che vide l’aggiunta di cinque tele e il riallestimento dell’intero padiglione a cura di Vicente Todolì, realizzato tra il 2009 e il 2013.

L’ispirazione per la creazione delle torri venne all’artista tedesco, nato nel 1945 a Donaueschingen, probabilmente a seguito del lungo viaggio in Israele, compiuto all’inizio degli anni Ottanta: dal decennio successivo la sua produzione artistica è stata dominata dalla riflessione sul rapporto tra tedeschi ed ebrei, soprattutto sul tema dell’olocausto. I suggestivi nomi delle torri -Sefiroth, Melancholia, Ararat, Linee di campo magnetico, Torri JH&WH, Torre dei quadri cadenti- rimandano alla storia e alla fede del popolo ebraico e all’evento distruttivo della Seconda Guerra Mondiale. I titoli delle tele -Jaipur, 2009, Cette obscure clarté qui tombe des étoiles, 2011 (2), Alchemie, 2012, Die Deutsche Heilslinie-, le loro grandi dimensioni e gli ampi orizzonti che disegnano, la presenza dei semi di girasole e delle targhette con la numerazione delle costellazioni compiuta della NASA, fanno subito pensare al desiderio di rinascere, di seminare terre aride, di trovare nuovi rapporti con il cielo, da cui non cadono più solo bombe distruttive

Morte e vita, passato e presente, senso di disfatta e anelito al divino dialogano in ogni punto della grande installazione, di cui l’osservatore è parte viva e necessaria alla comprensione dei fili nascosti che legano tutte le opere.

Vorrei, quindi, suggerire un percorso di osservazione e di lavoro da proporre agli allievi di diverse età ed interessi, ovviamente da declinare opportunamente nei diversi contesti di studio:

  • le torri aprono alla ricerca del rapporto col trascendente che tutte le civiltà antiche hanno vissuto ed espresso attraverso le loro opere d’arte: gli uomini del Neolitico hanno eretto grandiosi megaliti, i popoli della Mesopotamia hanno costruito le ziggurat, gli Egizi le piramidi, per lasciare un segno del loro dialogo con le potenze celesti;
  • le rovine dell’Occidente, dopo la seconda guerra mondiale, e l’aspirazione alla ricostruzione sono ben rappresentate dalle Torri, maestose ma dall’equilibrio incerto, di semplice fattura e segnate dalla violenza del tempo e dei conflitti umani, che s’innalzano verso il cielo quasi come scale, benché da esse cadano oggetti (pellicole di bronzo, cornici di finestre, ecc.) oppure ospitino grandi libri di bronzo che ricordano il male che nel tempo l’umanità ha dovuto subire e combattere.

 

illuminatinggas

Un’ulteriore occasione di incontro o di approfondimento col contemporaneo è offerta dalla mostra di Evans, “…the Illuminating Gas”, le cui sculture di luce, spesso associate al suono e al movimento, “attingono a una complessità di riferimenti e citazioni – dalla letteratura, alla musica, filosofia, fotografia, poesia, storia dell’arte, astronomia e scienza – che vengono declinati in forme del tutto nuove attraverso un articolato processo di montaggio.”

 All’inizio della sua carriera, Evans si è occupato di regia sperimentale, creando un cinema antinarrativo, concentrando l’attenzione sulle esperienze di percezione e fruizione; su questa linea ha lavorato nei decenni successivi, realizzando sculture-installazioni site-specific, con materiali eterogenei -specchi, neon, piante, proiettori, ecc.- dal grande potere evocativo. L’artista si è spesso interrogato “sul confine tra il visibile e il non visibile, tra materiale e immateriale”: il tempo e lo spazio sono, quindi, entità aperte, in cui luci, suoni e il nostro muoversi tra le opere creano situazioni e sensazioni sempre diverse, una sorta di “sistema dinamico da decifrare”.

 

 

starstar

La prima opera che s’incontra entrando nella navata è StarStarStar/Steer (totransversephoton) (2019), realizzata per la mostra milanese, che crea una coreografia di luci e ombre che, a intermittenza, invadono lo spazio. Sette altissime colonne luminose sono appese al soffitto, sospese a pochi centimetri da terra: le lampade a LED di cui sono costituite si accendono e s’intensificano progressivamente, per poi affievolirsi e spegnersi ritmicamente.

 

Le forme, quindi, cambiano continuamente aspetto: la luce intensa non permette nemmeno di guardarle, mentre quando questa scema, possiamo ammirare la struttura interna della colonna. Analogamente, noi non possiamo fissare direttamente il sole per lungo tempo, a meno che la sua luce non venga filtrata, ad esempio, dalle nuvole.

La grande opera Forms in Space … by Light (in Time) del 2017, che invade la parte centrale della Navata, è costituita da chilometri di neon curvi e rettilinei sospesi al soffitto, che formano un intricato disegno astratto, che cambia aspetto a seconda del punto di vista dell’osservatore. L’artista suggerisce di leggere l’opera come “una sorta di spazio per la meditazione”, come un “luogo a cui abbandonarsi alla contemplazione della trasmissione di energia.” La luce, quindi, può creare delle forme: anche gli antichi hanno visto nel cielo stellato dei diagrammi da decifrare a cui hanno dato i nomi delle costellazioni. Quelle stelle, però, che appaiono vicine, su un unico piano, in realtà ora noi sappiamo essere lontanissime. Il nostro punto di vista è determinante nel tentativo di l’interpretare o per cogliere un messaggio.

In questo senso, il suggerimento di lavoro (in Fisica, ma anche per Italiano o Storia dell’arte) per gli allievi, ma innanzitutto per i docenti che si lasciano guidare dal fascino delle opere, riguarda la capacità di interpretare i segni, ovvero le forme appartenenti al mondo fisico, in quanto portatori di un ordine, di leggi e di significati da scoprire.

L’arte contemporanea -ma l’arte, anche quella del passato, è sempre contemporanea- è veramente un’inesauribile miniera per l’occhio e la sensibilità di chi la vuole guardare.

 

 


 A cura di:

GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.

CDOLogo DIESSEDove siamo