Luci e ombre dell’Europa del Seicento. Georges de La Tour

 

Nel momento in cui scrivo, la mostra di cui vi parlerò ha purtroppo appena chiuso i battenti -è stata visibile fino al 27 settembre al Palazzo Reale di Milano-, ma spero che molti lettori abbiano avuto l’occasione di ammirarvi le opere di un artista affascinante, per il suo singolare utilizzo degli effetti luminosi, affiancato da alcuni notevoli maestri della luce e della realtà del Seicento: Georges de La Tour. I dipinti di Gerrit van Honthorst, Paulus Bor, Trophime Bigot, Frans Hals e di altri, messi a confronto per tema o per soluzioni tecniche e compositive, hanno permesso di riflettere sulla pittura sacra e profana, soprattutto su quella di genere che nel XVII secolo ha avuto un notevole incremento, con spunti di grande originalità.

Certo, l’attenzione del visitatore è subito calamitata dalle "sperimentazioni luministiche" del pittore lorenese, ma anche da quelle, a volte più complesse, dei contemporanei, che immediatamente trasportano in un clima di intensa meditazione, come davanti alla Maddalena allo specchio (o Maddalena Fabius) in cui c’imbattiamo nella prima sala, o davanti agli Apostoli della Cattedrale di Albi della sala seguente, ognuno assorto in modo diverso in un profondo dialogo con se stesso, con il testo sacro, con il compito che lo attende. Se, da una parte, nella Maddalena, ciò che affascina è il sapiente utilizzo della luce a lume di candela, che scivola sulla spalla e sul braccio destro della donna, lasciando il resto del corpo in controluce, immerso in un buio che annulla la consistenza degli oggetti, come il teschio in primo piano, e dello spazio, dall’altra i volti, le mani ed anche gli abiti e gli oggetti semplici degli Apostoli hanno una consistenza fisica, materiale impressionante, tanto da far percepire la qualità della stoffa della giacca, la durezza della superficie lignea del bastone tenuto da una mano con le unghie annerite, il leggero solco di una cicatrice sul volto, che ha un’evidenza quasi ritrattistica.

 

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 G. de La Tour, Maddalena penitente, 1635-1640 ca., olio su tela, 113x92,7 cm., National Gallery of Art, Washington D.C.

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G. de La Tour, San Giacomo minore, 1615-20, olio su tela, 66x54 cm, Albi 

Stiamo guardando lo stesso artista? Lo spietato realismo proprio degli anni giovanili del pittore, che osserviamo, ad esempio, nel S. Giacomo minore avvolto da una luce diurna, ha lasciato il posto, nella Maddalena del periodo maturo, ad un senso di misteriosità che cerca l’essenziale e, a tratti, sfiora l’evanescente.

Forse ha ragione una mia allieva che riconosce in de La Tour un “percorso di ascesi che è interessante leggere nel modo di trattare le mani, uno degli elementi più espressivi dell’uomo, prima rugose e rovinate, poi levigate e perfette.” 

Ma è proprio questo il criterio che i curatori hanno utilizzato per accompagnare il visitatore lungo la carriera di de La Tour: indagare come l’artista ha affondato le sue radici nel realismo, di cui senza dubbio era maestro Caravaggio, noto indirettamente attraverso le opere e l’incessante rielaborazione dei temi e delle scelte formali da parte dei seguaci, come Saraceni e Gherardo delle notti (Gerrit van Honthorst), per giungere ad una personalissima cifra stilistica.

Roberto Longhi, a proposito caravaggismo del lorenese scrive: “Sa dare, dei principi caravaggeschi, un’interpretazione così a parte, per nulla servile.” Questo è così vero che in opere come Il suonatore di ghironda con cane e in Uomo e donna anziani del 1618-19 l’artista guarda le austere, quasi solenni, figure con gli occhi con cui il Pitocchetto, un secolo più tardi, fisserà sulla tela i tipi umani della Milano minore e della provincia, spogliati di quel residuo di “teatralità” che a tratti si respira nelle tele di de La Tour.

 

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G. de La Tour, Il suonatore di ghironda con cane, 1622-1625, olio su tela, 186x120 cm, Musée du Mont-de-Piété, Bergues, Francia

E proprio della teatralità, studiata, misurata, spesso compressa in spazi angusti, eppure efficacissima, sono esemplari La rissa tra musici mendicanti della fine degli anni Venti e Giocatori di dadi del 1650: lo sguardo senza veli, che scava nel profondo, della prima opera, di cui sentiamo quasi le urla, lascia il posto ad una scena al lume nascosto di candela che ha la stessa intimità dei quadri sacri, dove i volumi levigati fino alla pura resa geometrica lasciano scivolare la luce, ammorbidendo così abiti, corazze e volti.

 

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G. de La Tour, La rissa tra musici mendicanti, 1625-1630 ca, olio su tela, 85.7x141 cm, The J. Paul Getty Museum, Los Angeles

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G. de La Tour, Giocatori di dadi, 1650 c., Middlesbrough (Regno Unito),Teesside Museum

l capolavoro della maturità resta, però, a mio parere, Giobbe deriso dalla moglie del 1650 c.: la monumentale donna che piega la testa in avanti, come schiacciata dal limite della tela e dalla sua protervia, regge la candela che la illumina e lascia nella semioscurità il marito, quasi a dire “io si che so come stanno le cose”. La minuscola e impotente figura di Giobbe, alza implorante il volto e le mani giunte in preghiera: è dall’ombra, dal nascondimento, a volte, che viene la saggezza, è l’ombra che fa meglio apprezzare la forza della luce.

 

giobbederiso2   G. de La Tour, Giobbe deriso dalla moglie, 1650 c., Épinal, Francia

 

 

Questa verità sembra aver messo a fuoco con crescente lucidità de La Tour e la traiettoria del suo percorso rivela analogie sorprendenti con i grandi contrasti del secolo in cui è vissuto ed anche con la sua singolare fortuna. Di questo ha scritto, in uno dei suoi ultimi editoriali Philippe Daverio, che volentieri riporto, anche come ringraziamento ad un maestro dello sguardo.

La Tour stette alla sua epoca come Matisse alla Seconda guerra mondiale, rifugiato nel piccolo suo cosmo privato. Viene rivelato nel XX secolo da André Malraux che ne fa il più celebre pittore francese del Seicento perché il più moderno, quello che supera il realismo caravaggesco in quanto «l’illuminazione di Caravaggio veniva da una colata di giorno, spesso il raggio della sua nota finestrella: serviva a strappare da un fondo scuro i suoi personaggi, dei quali accentuava i tratti; le fiamme pallide di La Tour servono a unire i suoi. La sua candela è la sorgente d’una luce diffusa malgrado la nitidezza dei suoi piani e questa luce non è per nulla realista, è priva di tempo»

 

A cura di:

GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.

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