STORIE DELLA PASSIONE E MOLTO ALTRO

Nell’attesa che riaprano musei e mostre, cinema e teatri e molti luoghi di cultura e di vita sociale, per questo mese di aprile vi suggerisco la visita, spero non solo virtuale (è possibile ascoltare una presentazione delle curatrici su YouTube), ad una mostra al Museo Diocesano di Milano veramente interessante perché, per la prima volta, ci mette di fronte ad un ciclo di affreschi proveniente dal monastero milanese di Santa Chiara, costituitosi dopo la scissione di una parte delle consorelle per aderire alla riforma dell’Osservanza francescana.

Gli undici affreschi, solo una parte dell’intero ciclo che decorava originariamente la parete del tramezzo, che divideva la parte della chiesa destinata alle monache da quella dei fedeli, raccontano alcuni episodi della Passione di Gesù, a partire dall’Ingresso a Gerusalemme, con cui si avvia la Settimana Santa. La loro esecuzione risale, molto probabilmente, alla metà degli anni ’70 del Quattrocento e si deve ad artisti diversi, chiamati contemporaneamente a collaborare per rendere più spedito il completamento del ciclo. Senza volerci addentrare nelle questioni riguardanti la cronologia e l’attribuzione, che in mostra sono, comunque, accuratamente presentate dalle curatrici Laura Paola Gnaccolini e Alessia Devitini, vorrei soffermarmi su uno dei primi affreschi che si incontrano, non appartenente al ciclo, ma che permette di addentrarci nella vita e nella sensibilità delle clarisse, che vollero le storie della Passione come meditazione permanente sul mistero della Passione di Cristo.

Nell’affresco, S. Chiara protegge col suo manto le clarisse, reggendo con una mano l’ostensorio: è un’immagine sintetica che ci mostra quanto fosse sufficiente per la vita delle monache, ovvero seguire Chiara e la sua regola come strada a Cristo. E’ un’opera che ricalca l’iconografia della Madonna della Misericordia, ma che qui sembra assumere un significato più intimo, raccogliendo le clarisse in quella sorta di spazio semicircolare, che è come quello di un’abside di una chiesa, vero cuore del luogo sacro.

clarisse

 

Passando al ciclo, presentato nelle sale successive, alcune scene sono molto note perché sempre presenti in narrazioni cristologiche, altre, invece, risultano più rare, come il commovente Congedo di Gesù da Maria che, inginocchiata di fronte al Figlio, lo saluta benedicendolo, quasi invertendo i ruoli, per mostrarci quanto avesse fatta sua la scelta di obbedire al Padre da parte di Gesù. L’episodio sembrerebbe tratto da un libretto -Devote meditazioni sulla passione di nostro Signore – scritto da un francescano nel ‘300, sicuramente fonte di riflessione per le consorelle.

congedo

 

Singolare risulta anche l’ultima scena del ciclo, l’Ascensione, dove un Gesù in volo libero sopra le teste degli Apostoli e di Maria protende le braccia verso la parte più alta del cielo, la dimora del Padre, a cui ormai è destinato.

Le figure maschili si dispongono in cerchio, mettendo al centro la Madonna, nel punto da cui Gesù si è sollevato: anche in questo caso i personaggi creano un’architettura vivente, molto più convincente delle semplici scatole prospettiche in cui gli artisti collocano le scene in “interno”. L’autore delle ultime scene, che si svolgono all’aperto, è di certo più aggiornato e orientato al naturalismo rinascimentale.

ascensione

 

Lascio a voi il piacere di scoprire la bellezza delle altre scene che permettono di avvicinare una piccola porzione di quella pittura lombarda del XV secolo, prima dell’arrivo di Leonardo da Vinci, così ricca ed originale perché frutto di una tradizione altrettanto ricca ed aperta ad influssi diversi.

Il Museo Diocesano è uno di quei luoghi in cui si può ammirare molta parte della tradizione artistica lombarda, soprattutto religiosa, e in queste settimane che seguono la Pasqua speriamo sia possibile tornare a vedere le collezioni nelle sale dei chiostri. Tra le opere più preziose, vi segnalo, nei fondi oro, la trecentesca Crocifissione di Anovelo da Imbonate, proveniente dalla chiesa di S. Giorgio al Palazzo, le cui piccole dimensioni sono inversamente proporzionali all’intensità della partecipazione al dolore degli astanti. Il Cristo nell’orto di Simone Peterzano, il maestro che ebbe Caravaggio come allievo per qualche anno nella sua bottega milanese, è uno straordinario notturno, in cui la solitudine di Gesù è illuminata dalla luna piena e dalla luce dell’angelo che gli porge i simboli della passione ormai accolta. Di straordinaria intensità è anche il Crocifisso con la Maddalena genuflessa e piangente di Francesco Hayez: il raccoglimento della donna abbracciata alla croce, contro un vasto cielo nero, viene contrappuntato da una striscia di luce che illumina l’orizzonte, preannunciando già la resurrezione. Non si può lasciare il Museo senza aver sostato, anche se per pochi minuti, sulla Via al Calvario di Gaetano Previati e sulla eccezionale Via crucis bianca di Lucio Fontana, a cui bisognerà dedicare, prima o poi, uno spazio in questa rubrica, perché è un tesoro forse ancora troppo nascosto, che merita di essere sempre riscoperto.

 

A cura di:

GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.

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