IL PARADISO PROBABILMENTE

TITOLO ORIGINALE: It Must Be Heaven

LUOGO: Francia/Palestina 

ANNO: 2019

DURATA: 104 m

REGIA: Elia Suleiman

CAST: Elia Suleiman, Gael Garcia Bernal

 

Presentato al Festival di Cannes 2019, Il paradiso probabilmente ha come protagonista lo stesso regista Elia Suleiman, che sempre elegante e mai senza il suo cappello si muove per i continenti fissando situazioni che via via si presentano come surreali quadri di un tableau vivant, con uno sguardo lievemente perplesso ma non privo di humour. Suleiman non parla, e si limita a sorridere solo una volta, quando un uccellino (creato digitalmente) vola nella sua stanza d’albergo e beve acqua da un piattino, mentre il regista sta lavorando al suo computer.
La premessa della storia è semplice: viaggiare all’estero da Nazareth (dove il regista veramente vive), venire prima a Parigi e poi a New York, cercando di parlare con i produttori per realizzare il suo ultimo film. Ovunque egli guardi, spesso in strade stranamente deserte, trova scene (spesso di splendida coreografia) degne del teatro dell’assurdo, che ridicolizza delicatamente, specie quando i protagonisti sono uomini in uniforme.
Per dirla all’italiana, Suleiman ci fa, ma è evidente che non ci è. Il titolo stesso in originale (It Must Be Heaven), sembra orecchiare It Must Be the Place, canzone dei Talking Heads che descrive un luogo in cui le cose accadono come in un sogno: ecco che a Parigi un trio di poliziotti si muove su scooter elettrici come in una coreografia, un altro compie un inseguimento su pattini a rotelle come in una competizione su ghiaccio. Negli Stati Uniti, Suleiman vaga per un supermercato e scopre che la gente sta comprando armi automatiche e, uscendo dal negozio, vede che tutti stanno passeggiando con pistole, fucili e persino lanciarazzi. In ogni situazione apparentemente ridicola, c’è un fondo di drammatica serietà. Lo stesso Suleiman ha dichiarato che le visioni comicamente accentuate che crea “mostrano il mondo come se fosse un microcosmo della Palestina”. In un incontro a New York di arabi-americani per la Palestina e recitando la sua parte in un cameo, l’attore Gael Garcia Bernal si sente in dovere di rimarcare a qualcuno al telefono che Suleiman «non è un palestinese di Israele, è un palestinese della Palestina». Più che battagliare sull’oppressione in patria, Suleiman preferisce ironizzare sulla ricerca della sicurezza ad ogni costo, sui controlli (talvolta assurdi) di polizia che accadono ovunque nel mondo, ma che gli occidentali, che danno per scontata la loro libertà di movimento, possono permettersi il lusso di prendere alla leggera.

Lo stile di Suleiman è di solito paragonato ai film di Jacques Tati e Buster Keaton, ma tempi e modi son differenti: la sua commedia non porta a una battuta finale, punta piuttosto nella direzione di una situazione sociale e politica. Esempio: un produttore rifiuta la proposta del film di Suleiman perché i suoi film «non sono abbastanza sulla Palestina», ossia non sono abbastanza arrabbiati o ricattatori sulle vittime palestinesi. Ma la commedia è lì per mostrare che ci sono altri modi per mostrare la tua identità culturale che non siano soltanto l’esibizione di un attivismo schierato politicamente. Per Suleiman, la commedia è un esercizio retorico (in senso buono) di non violenza. Anche se, a nostro parere, non privo di un’amara consapevolezza, che il film, pur sorridendo, non riesce (e non vuole) nascondere.


 A cura di:

BEPPE MUSICCO, giornalista cinematografico e critico. Cofondatore e attuale presidente dell’associazione culturale Sentieri del Cinema ( www.sentieridelcinema.it  ). Autore di libri di cinema, consigliere di amministrazione della Fondazione Cineteca di Milano.

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