UN COLPO D'OCCHIO SUGLI ANNI '60

 

Innanzitutto è molto difficile farlo in uno spazio limitato. Ma in ogni caso, se si vuole fare un passaggio a volo radente sulla musica degli anni ’60, bisogna partire da due punti principali:

1 – gli anni ’60 iniziano un paio di anni prima

2 – nasce la categoria dei ‘teenagers’.

Gli anni ’50 erano stati quelli della vera ripresa dopo la devastante seconda guerra mondiale, e con la ripresa economica rinasce la voglia di tornare a ballare, l’esplosione del rhythm’n’blues e poi del rock’n’roll, figlio del blues nero, ma per usare una frase di Frank Zappa, che cito a memoria, che in realtà era “musica dei neri suonata da bianchi per far ballare altri bianchi” (ripeto, la citazione è a memoria, ma il senso era questo!). In realtà la spinta creativa del Rock’n’roll si esaurisce in 4-5 anni e il 1958, con l’uscita di Johnny B. Goode di Chuck Berry e soprattutto il 1959 con ‘the day the music died’ segnò in qualche modo la fine di quel periodo spensierato alla Happy Days. Il giorno in cui la musica morì, per la cronaca, è il 3 febbraio del 1959, giorno in cui su un aereo privato persero la vita Ritchie Valens (autore e cantante de La Bamba), Big Bopper e Buddy Holly, tre artisti che erano in quel periodo in tournée insieme. Quindi gli anni ’60 in realtà si aprono girando pagina su un mondo che non c’è più, anche se il rock’n roll resterà presente fino ai giorni nostri e verrà ripreso, adattato, stravolto, citato da una miriade di artisti.

Per capire cosa intendo con il secondo punto indicato sopra – quello riguardante i teenagers, letteralmente ragazzi di età che finisce con –teen, cioè da 13 a 19 anni -  si pensi (come riportato, per esempio nel sito http://www.novecento.org/), che le vendite di dischi in Italia passarono dai 18 milioni di 45 giri del 1959 ai 44 milioni del ’69. Già nel 1960 un’inchiesta accertò che il 40% degli acquirenti di dischi aveva meno di 20 anni, e che per loro era normale acquistare mediamente un 45 giri alla settimana. Lo stesso fenomeno verificatosi alcuni anni prima negli Stati Uniti puntualmente si riscontrava anche alle nostre latitudini. Il fenomeno dei teenagers, in sostanza la categoria dei giovani che precedentemente esisteva poco o punto, fu in gran parte creata dal mercato.

In questo contesto scorriamo brevemente che cosa è avvenuto a livello musicale in quel decennio.
Innanzitutto la nascita del movimento denominato Beat, per la verità ripresa del movimento Beat nordamericano dell’immediato dopoguerra (ricordate Kerouac? On the road? La Beat Generation e tutto il resto=?). I Beatles – che anche nel nome in qualche modo incarnano, scherzandoci, il movimento cui appartengono, insieme al concetto di beat come ritmo – vengono identificati come il lato più melodico e sentimentale di questa evoluzione del rock’n’roll, modificando poi la grammatica e la sintassi della musica mondiale nella loro esperienza che non ha confronti, gli otto intensissimi anni che da Love Me Do del settembre 1962 li portano a costruire mondi sonori senza paragoni. Se i quattro di Liverpool trasformano il DNA del pop, i Rolling Stones ne rappresentano il lato più provocatorio, in qualche modo di protesta contro l’establishment, tendente alla ribellione e alla faccia più rock, per l’appunto, ruvida e sprezzante del mondo musicale di quegli anni. In realtà, se si abbandonano gli stereotipi e si scava un pochino di più sotto la superficie, anche i Rolling Stones hanno scritto ed eseguito canzoni sentimentali e melodiche, laddove i Beatles hanno avuto episodi musicali – e di vita – assai più trasgressivi dei loro presunti antagonisti.

Ma il discorso sarebbe lungo. Tutto questo accadeva nel Regno Unito e veniva poi rimbalzato nel nuovo mondo, con un procedimento singolare, visto e considerato che proprio lì attingevano i britannici per creare la loro musica. Country, Rock’n’roll e Rhythm’n’Blues sono senza ombra di dubbio alle radici del Beat, e tornano modificati negli Stati Uniti con il fenomeno chiamato British Invasion. Verso la metà degli anni ’60 avviene, sempre nel Regno Unito, una forte ripresa del Blues, diventato nel frattempo ‘elettrico’ e ripreso soprattutto da chitarristi – uno su tutti: Eric Clapton –; tutto questo dà il via ad un Rock che perde il Roll (cioè potremmo dire il connotato della danza) e che da lì alla fine dei ’60 diventerà Hard Rock. I Cream (supergruppo creato abbastanza a tavolino che vedeva il medesimo Eric Clapton insieme al bassista Jack Bruce e al batterista Ginger Baker) ma anche i Led Zeppelin e i Deep Purple muovono i loro primi passi proprio nella coda finale di questo decennio.

E negli Stati Uniti d’America? Diciamo che i due generi che avevano dato vita al Rock’n’Roll continuano i loro percorsi. Da una parte il Rhythm’n’Blues, chiamato anche Soul, con i grandi successi di Otis Redding, Aretha Franklin, le prime mosse del giovanissimo Stevie Wonder, e che poi darà vita nel decennio successivo alla disco-music.  Dall’altra la musica tradizionale bianca, il country, riemerge prepotentemente e fa da base ad una generazione di giovani cantautori che accanto a vecchi standard, creano nuove canzoni, spesso di denuncia e di protesta; la musica che proviene da quella di pionieri, dei cowboys, riprende nuova vita con testi che parlano delle aspirazioni e dei sogni dei giovani di allora. Woody Guthrie, Pete Seeger, Bob Dylan e Joan Baez sono forse i più rappresentativi di questo mondo, ma anche gli inizi di James Taylor e Paul Simon affondano qui le loro radici. Significativo a questo proposito il fatto che un album di Bob Dylan di quegli anni si intitoli Bringin’ It All Back Home, come a dire: questa musica che è andata dall’altra parte dell’oceano e ci è tornata modificata, però è sempre roba nostra, riportiamocela a casa!

Sicuramente quello dei nuovi cantautori folk è uno dei fenomeni più importanti degli anni ’60, le loro canzoni attingono e al tempo stesso rappresentano le esigenze dei giovani, soprattutto americani, ma di tutto il mondo, e cercano di emergere dal pop, ritenuto più leggero e meno impegnato. Altre carriere (molte, peraltro, ancora in corso) sono partite in quegli anni, come ad esempio quelle di Crosby, Stills & Nash, Neil Young e Joni Mitchell, autori di canzoni che restano inossidabili nella storia della musica d’autore statunitense. Il festival di Woodstock nell’agosto 1969 è al tempo stesso celebrazione e suggello di questa era di pace, amore e libertà che però spesso si rivelò utopica o andò a schiantarsi come l’aereo del febbraio 1959. Sì, perché esigenza di libertà ha portato anche ad eccessi e vite ai limiti, come quelle dei tre alfieri del rock di fine decennio, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison. Genio assoluto della chitarra il primo, voce strepitosa la seconda, artista visionario e leader dei Doors il terzo, accomunati dalla triste appartenenza al cosiddetto ‘club dei 27’: tutti lasciarono questa vita tragicamente, a quella età e a cavallo del decennio, come pure Brian Jones dei Rolling Stones.

Decennio quindi ricco di nuovi stimoli, generatore di nuove tendenze e di bellissime canzoni, ma al tempo stesso pieno di contraddizioni. Decennio in cui la spinta verso la libertà si è persa in un sogno utopico o si è andata ad impattare con una realtà che non corrispondeva, talvolta con esiti drammatici. Restano le canzoni e resta quell’anelito. E in Italia? Lascio una prima disamina di ciò che è accaduto da noi al già citato sito www.novecento.org , ma magari ne riparleremo anche noi in una prossima puntata. Buona musica a tutti!

http://www.novecento.org/dossier/italia-didattica/1958-1968-i-tanti-filoni-della-musica-degli-anni-60-la-stagione-dei-giovanissimi/


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

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