Gli anni ’70 in musica: poesia, utopia, politica ed impegno

 

 

È sempre estremamente difficile condensare un decennio in uno scritto breve. Lo è ancora di più visto che stiamo parlando degli anni ’70, anni in cui esplosero molti generi musicali, artisti, band. Peggio ancora se ce ne vogliamo occupare a livello mondiale. Penso che si possa dare una infarinata alla tavola, lasciando poi la preparazione dell’impasto a chi volesse approfondire ulteriormente per conto suo. Insomma, andrò per sommi capi, sapendo in anticipo di risultare incompleto.

Cominciamo innanzitutto da un fatto che avviene alla fine del 1969, per la precisione il 6 dicembre, e che mette in un certo senso fine a quell’impeto verso una libertà incontrollata che aveva caratterizzato il decennio precedente. Un concerto organizzato ad Altamont in California, che vede la partecipazione di molte star del periodo, si trasforma in tragedia. Durante il set dei Rolling Stones un fan armato viene ucciso dal servizio d’ordine. È stato scritto molto al riguardo, per avere una idea iniziale può andare bene questo articolo. Questo fatto viene interpretato come la fine di un’epoca, forse mai realmente iniziata, in cui sembrava di poter realizzare una utopica libertà a tutti i costi. Fu come un improvviso schianto, un brusco ritorno alla realtà.

Questo non blocca certo l’ascesa di tutta una serie di cantautori che proprio negli anni ’70 raggiungeranno i loro picchi creativi. Stiamo parlando di Crosby, Stills, Nash and Young, James Taylor, Paul Simon, Bob Dylan e molti altri, che in qualche modo continueranno la poetica nata negli anni ’60, mescolandola talvolta con l’impegno politico, ambientalista o raccontando storie d’amore. Per iniziare un parallelo con quanto succedeva qui da noi, proprio dall’inizio degli anni ’70 acquista sempre più importanza la figura del “cantautore”, attributo che individuava chi scriveva ed al tempo stesso eseguiva le proprie canzoni, per la verità coniato (nei primi anni ’60) da Ennio Melis e Vincenzo Micocci della RCA Italia per lanciare la carriera di Gianni Meccia e successivamente applicato a tutta una serie di artisti negli anni a venire. In ordine sparso, sono questi gli anni in cui emergono o arrivano al grande successo Lucio Battisti, Lucio Dalla, Claudio Baglioni, Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Fabrizio De André, Francesco Guccini, Riccardo Cocciante, Edoardo Bennato e molti altri, fra i quali sto senz’altro dimenticando nomi importanti. Ognuno con le sue peculiarità, i cantautori danno il via ad una stagione di grandi canzoni e di grandi concerti. Sì, perché quelli erano gli anni in cui iniziavano i grandi concerti negli stadi, sia a livello internazionale che nostrano. Un aspetto interessante, pur se ideologico e fortemente caratterizzato, del repertorio dei cantautori italiani è rappresentato dalla canzone politica, QUI un recente articolo dettaglia un po’ meglio di cosa si trattò.

Un altro link ci dà un’idea (secondo Rolling Stone) di alcune delle canzoni più importanti del decennio. Già solo scorrendo questa lista di canzoni ci sarebbe da scrivere per un paio di giorni: la grande esplosione del Soul, l’ascesa fra gli altri del giovanissimo Michael Jackson, Stevie Wonder, il cantautorato pop di alto livello di Elton John, gli amici/nemici Eric Clapton e George Harrison, il country esploso a livello mondiale (anche grazie al film Nashville di Robert Altman, aggiungo io), la musica d’autore al femminile di Carole King, l’esplosione dell’Hard Rock con i Led Zeppelin (e i Deep Purple già dal ’68, i Black Sabbath). Lista anch’essa incompleta per la grande esplosione e mescolanza di generi avvenuta in quegli anni, un esempio per tutti, il rock ammantato di latino di Carlos Santana. E come dimenticare gli inizi dei Queen, i Pink Floyd, i primi passi degli U2, Springsteen… e chissà quanti ne ho tralasciati, ancora una volta.

Ma spostandoci in Europa, e volendo individuare – un po’ per mio gusto personale ed un po’ per non sparare solamente nel mucchio – qualcosa di particolare per il periodo, nei primi anni ’70 si assiste ad una certa, talvolta grossa popolarità del cosiddetto Progressive Rock. Il fenomeno è caratteristico soprattutto del Regno Unito: band di giovani ragazzi cominciano ad espandere lo spazio ristretto della forma-canzone, interfacciandola con la musica classica, sia per quanto riguarda il linguaggio che per l’aspetto formale. Le canzoni si dilatano e talvolta diventano lunghe suite – celeberrimo l’esempio di Supper’s Ready, brano dei Genesis che con i suoi 25 minuti occupava quasi l’intera facciata di un album. Insieme a loro, Yes, Van Der Graaf Generator, Gentle Giant e Jethro Tull, che talvolta sperimentano anche la forma del concept album, in cui tutte le canzoni sono legate da una stessa storia (Thick As A Brick dei Jethro Tull e The Lamb Lies Down On Broadway dei Genesis sono probabilmente gli esempi più sfolgoranti. Emerson, Lake and Palmer poi ad un certo punto prendono Quadri di una esposizione del compositore russo Modest Musorgskij e ne fanno (come si diceva allora) un’opera Rock a tutto volume.

Fra tutti i gruppi citati sopra, i Jethro Tull, pur partendo come una band prettamente blues, in realtà si interfacciano (insieme a blues e rock) più con il folk inglese ed irlandese – potremmo dire anche celtico, se non fosse un termine leggermente abusato – anche per la presenza funambolica del loro leader, il cantante, chitarrista acustico, compositore e folletto-flautista Ian Anderson. Da non dimenticare, per inciso, che tutto questo vorrà essere seppellito dal Punk, nato anche come protesta per questo genere troppo scolastico e raffinato. Ma proprio dal Punk, che pochissimi anni dopo si mescola con il Reggae nascerà l’esperienza formidabile, su tutti gli altri, dei Police, capitanati dal cantante e bassista Sting.

Riportando il fenomeno del Progreessive in Italia, qui da noi raggiungono un certo successo gruppi come i milanesi Premiata Forneria Marconi, i genovesi New Trolls e i veneti Le Orme, come pure Angelo Branduardi, che in qualche modo inventerà un nuovo sound. In ambiti leggermente diversi vedo creatori di sonorità nuove per l’Italia anche Lucio Dalla con gli Stadio e Pino Daniele, quest’ultimo responsabile di una interessantissima commistione fra la musica partenopea, il folk e la musica nera.

Si potrebbe scrivere ancora tantissimo, ma non sarebbe comunque mai tutto. Ed allora mettiamo in luce un ultimo fenomeno, che avviene sempre in Italia verso la fine del decennio. Forse anche per reagire a quella strategia del terrore che per qualche anno fece temere fortemente per la stabilità politica ed istituzionale del paese (ricordiamo il rapimento di Aldo Moro ed il ritrovamento del suo corpo dopo l’assassinio, il 9 maggio 1978), riprende la voglia della musica dal vivo, anche e soprattutto grazie ad una serie di concerti che vedono alcuni cantautori molto rappresentativi scendere in campo accompagnati da importanti band. Avvengono tutte intorno al 1979 le tournée che vedono protagonisti Dalla e De Gregori insieme (Banana Republic, raro caso di album live di cui non esiste l’album in studio), Guccini con i Nomadi e De André con la già citata Premiata Forneria Marconi. Di quest’ultima tournée è stato appena riscoperto un video, inserito in un film-documentario girato e  curato da Walter Veltroni, proiettato in molte sale italiane proprio negli scorsi giorni di febbraio 2020 e probabilmente reperibile fra non molto in DVD o su qualcuno dei circuiti televisivi on demand. Tentando di riassumere – senza riuscirci – un decennio, diciamo quindi che accanto agli artisti legati alla canzone melodica quegli anni videro affermarsi potentemente i cantautori e i gruppi musicali. Solo un esempio per finire davvero: sia nel 1977 che nel 1978, mentre tutti i cantautori impegnati disertavano il Festival di Sanremo, proprio lì si affermano, dominando, dei complessi musicali. Insomma, stavamo assistendo a diversi fermenti di un cambiamento d’epoca, che sarebbe poi continuato negli anni ’80.


Walter Muto   


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

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