Sanremo, il Festival della canzone italiana: ma è ancora così?

Sì, abbiamo deciso di occuparci del Festival di Sanremo. Sì, abbiamo scelto volontariamente di infilarci in un tema complicato per definizione, ancora più complicato con la comunicazione iper-rapida ed impazzita del giorno d’oggi, iulteriormente ingarbugliato dallo stato di pandemia in cui si è svolto. Condizione quest’ultima che – prima osservazione – pare sostanzialmente non aver cambiato granché, pubblico assente in sala a parte.

Serve una dichiarazione d’intenti e di programma: non sarà uno scritto breve. Certamente non lungo come le serate dello show – seconda osservazione flash: perché maratone simili? –  ma necessariamente articolato. Non riuscirò sicuramente a trattare tutti i temi in gioco, sicuramente occorrerà dire qualcosa su chi ha partecipato, ma senza infilarsi in analisi musicali approfondite anche perché – terza osservazione – da anni il Festival di Sanremo non pone più l’accento principale sulle canzoni, ma su altro. Spero di riuscire a trattare brevemente anche questo. In ogni caso, non avrebbe senso parlare del Festival senza provare a fare un ragionamento a più largo raggio. Cercherò di porre le questioni che hanno provocato di più me, lasciando aperte molte delle domande emerse.

Bene, mi contraddico subito e parto a sorpresa con la classifica finale, il che, viste le premesse, potrà sembrare inutile, ma invece farà già da sola emergere molte delle questioni che vorrei trattare.

L’olimpo
1 - Måneskin
2 - Francesca Michielin e Fedez
3 - Ermal Meta

Gli altri
4 – Colapesce e Dimartino
5 – Irama
6 – Willie Peyote
7 – Annalisa
8 – Madame
9 – Orietta Berti
10 – Arisa
11 – La Rappresentante di Lista
12 – Extraliscio 
13 – Lo Stato Sociale
14 – Noemi
15 – Malika Ayane
16 – Fulminacci
17 – Max Gazzè
18 – Fasma
19 – Gaia
20 – Coma_Cose
21 – Ghemon
22 – Francesco Renga
23 – Gio Evan
24 – Bugo
25 – Aiello 
26 – Random

 

A completare il quadro, vanno menzionati gli altri riconoscimenti: a Willy Peyote il Premio della critica Mia Martini, a Colapesce e Dimartino quello Lucio Dalla. Il Premio Sergio Bardotti per miglior testo a Madame. Ad Ermal Meta il Giancarlo Bigazzi per la miglior composizione musicale.

La prima impressione che può affiorare anche solo scorrendo la lista, a prescindere dai piazzamenti,  è quella di essere di fronte a molti nomi sconosciuti. Proviamo ad orientarci.

Intanto restano oscuri i meccanismi di selezione delle canzoni, a quanto pare appannaggio assoluto del direttore artistico e per questo a sua immagine e somiglianza. Stante che dietro alle selezioni degli artisti ci sono da sempre valutazioni di mercato ed anche rapporti di potere evidentemente non manifestati, l’intento espresso quest’anno è stato quello di aprire in maniera massiccia ad artisti nuovi. Così, accanto ad un solo vero esponente del passato remoto – Orietta Berti – e ad alcuni che potremmo a buon diritto definire ‘veterani’ – Renga, Gazzè, Malika, Noemi, Arisa e Ermal Meta – ci sono alcuni altri, diciamo, ‘fenomeni consolidati’ – Michielin, Stato Sociale e Annalisa, forse anche Ghemon -, ma tutto il resto è rappresentato da artisti emersi piuttosto recentemente e provenienti dal cosiddetto cantautorato indie, dal rap (meno) e dal bacino dei talent show.

Facciamo, come usa dire, un flash-forward e guardiamo la foto scattata appena prima della proclamazione del vincitore: Ermal Meta, rappresentante di un certo pop melodico, è già uscito di scena con il suo terzo posto. L’istantanea fissa i Måneskin, Francesca Michielin e Fedez. Si apre un buco spazio-temporale tipo Stargate e veniamo proiettati immediatamente ad Xfactor. Aggiungiamo una considerazione messa in luce da alcuni commentatori, ed in particolare da Michele Monina: Fedez e Michielin arrivano alla serata finale diciassettesimi, la giovane band romana, poi vincitrice, quinta ed Ermal Meta in testa. Poi il televoto ribalta tutto – pare anche grazie ad una ‘chiamata alle armi’ della Ferragni alla sua schiera di follower – ed il risultato è quello che vale. Si può forse già trarre la principale conclusione: una delle piaghe più grandi del ‘sistema Sanremo’ è che i meccanismi sono sostanzialmente mutuati dal format dei talent-show e la popolarità è essenzialmente dettata dai followers. Cosa che in qualche modo avveniva anche in passato – i fans ci sono sempre stati – ma che ora va ad indirizzare le scelte artistiche anche a monte, non solo a valle. Si scelgono artisti e nicchie di appartenenza – e finanche gli ospiti da invitare – sempre più  in base ai numeri che fanno sui social e sempre meno in base al valore artistico o di novità che veicolano. Cercando, infine, di rappresentare un po’ tutte le tendenze per cercare di non scontentare il pubblico. Credo che alla radice di questo stia anche l’esagerato numero di artisti in gara quest’anno.

Estendendo un attimo il pensiero, potremmo aggiungere che è una sorta di democrazia diretta che premia l’istante, ma lascia sempre meno qualcosa che duri. Anno della pandemia a parte – che comunque ha ulteriormente mescolato le carte – chi si ricorda qualche canzone del Sanremo dell’anno passato, a parte forse il vincitore Diodato (peraltro invitato ad aprire la prima serata quest’anno, forse anche per farlo ricordare meglio)? Aldilà del valore di alcune delle canzoni – anticipiamo le conclusioni: diversi brani ben costruiti ci sono, ed anche qualche bel testo – la tendenza degli ultimi anni è che ci sono sempre meno canzoni che durano nel tempo. È pur vero che per averne la prova provata, la certezza definitiva, occorre aspettare e vedere cosa resta.

C’è un altro dato, se si volesse riportare il discorso al Festival della CANZONE italiana – perché tutto sommato la dicitura è ancora quella. Come accade – ed è secondo me esecrabile – anche nei talent, occorrerebbe essere messi in grado di giudicare solo la canzone, con i suoi elementi musicali, il suo arrangiamento e, nel caso di Sanremo, la grande opportunità di un’orchestra a corredare ed ampliare le possibilità. Invece, in realtà, si fa spesso più caso agli elementi extra-musicali che a quelli squisitamente musicali, peraltro – a mio modesto parere – creando disparità. Perché dare la possibilità di un certo allestimento o balletto o video-grafica ad uno e all’altro no? Questi elementi andranno in ogni caso a condizionare il giudizio, specie quello del pubblico del televoto che, a quanto mostrato sopra, è quello che alla fine ha deciso il vincitore. Tutto questo è ancora una volta da considerare non dimenticandosi che Sanremo è uno spettacolo televisivo in cui c’è anche della musica.

Tutto da buttare quindi? No, assolutamente no. Come già accennato, ci sono state buone canzoni e c’è da sperare che di qualcuna ci possiamo ricordare da qui ad un po’. Se ne avremo il tempo: perché il trend ormai è quello di sfornare pezzi ad una frequenza impressionante, non necessariamente compilandoli in un album – perdonatemi, io sono un uomo legato al passato -, talvolta facendoli uscire solo in formato digitale e spesso dimenticandoli in fretta. Solo il tempo ci potrà rivelare cosa durerà e se qualcosa si attaccherà ancora in modo consistente alle nostre orecchie ed al nostro cuore, resistendo ai cambi di genere (musicale)  e di stagione.

Walter Muto  

 


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

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