Vasco ne fa 70, Pelù 60: e il Rock vive ancora oppure no?

 

 

Sono anniversari di un certo peso quelli ricordati nel titolo: Vasco Rossi e Piero Pelù, due delle bandiere del cosiddetto “Rock Italiano” hanno negli ultimi tempi celebrato importanti compleanni in cifra tonda. Certo una decade fa una certa differenza, ma in ogni caso entrambi appartengono ad un’epoca decisamente dimenticata, fatta di esordi nei locali, di sudore, di rock affermato come scelta di vita, anche con alcuni dei suoi annessi e connessi: le esagerazioni, gli eccessi, talvolta le droghe, ed anche amici persi per strada a causa di tutto questo. Eppoi niente internet, ed a suo posto le fanzine, le riviste, la musica comprata, i testi da ricopiare a mano e tutto ciò che oggi appare ormai come archeologia.

I Litfiba

Partendo da Piero Pelù, il più giovane dei due, ricordiamo che nasce insieme alla band di cui è frontman, i Litfiba, che dopo gli esordi indipendenti all’inizio degli anni ’80 arrivano al grande successo e, poco prima che inizi il nuovo millennio, a risultati importanti anche in termini di vendita, diventando il vessillo del rock duro, in molti casi venato di pop. Il concetto stesso di rock italiano enunciato sopra dovrebbe essere forse corretto in rock IN italiano, nel senso che quel genere musicale non nasce dalle nostre parti, ma viene usato come prima di lui il beat ed il folk, per rinnovare il repertorio melodico nostrano ed avvicinarlo al popolo dei giovani, desideroso di musica più graffiante ed incisiva e di testi dissacratori e più aggressivi. Quest’ultima, pur stando sulle generali, è l’altra caratteristica importante delle canzoni dei Litfiba ed anche della carriera solista di Pelù, che a fasi alterne ha intervallato quella con il gruppo.

Non dimentichiamo che negli ultimi anni il rocker ha fatto parlare di sé, non senza aspre polemiche da parte dei più ‘duri e puri’ tra i suoi fans, anche come giudice del popolare talent show The Voice. Le critiche erano naturalmente dovute al comune concetto di ‘sputtanamento’, detto meglio, il vendersi per ragioni di visibilità o mercato al mainstream più commerciale. La caparbietà ed il carattere di Piero Pelù gli hanno tuttavia permesso di infischiarsene, passando sopra al fatto se la cosa fosse vera o no e fra l’altro mettendo definitivamente fine, al termine del 2021, all’esperienza dei Litfiba, durata complessivamente 42 anni. È in corso proprio in questi giorni il tour d’addio.

Vasco

Vasco Rossi ha anagraficamente dieci anni in più di Pelù, anche se i suoi esordi nel campo musicale avvengono solo pochi anni prima di quelli dei Litfiba. È del 1975 la sua prima esperienza musicale importante (dopo una band in cui militò appena quattordicenne), ma essa avviene non come cantante, bensì come DJ di una radio libera, a quei tempi ancora illegale. Pioniere di quello che diverrà l’ambito privilegiato di diffusione della musica giovanile, Vasco viene processato ed assolto e di lì a poco il fenomeno delle radio libere esploderà in maniera esponenziale. Ma dopo un paio di singoli ed un EP che nascono e finiscono nel pur vivo circuito locale dell’Emilia Romagna, il primo vero album esce nel 1979, solo tre anni prima dell’esordio discografico dei Litfiba. Non siamo mica gli americani (che nel titolo adombra un po’ quanto detto sopra sul rock italiano), contiene già un piccolo capolavoro, quella Albachiara che diventerà un vero e proprio inno generazionale, imprescindibile cavallo di battaglia dell’artista lungo tutta la sua carriera.

La trasgressione è una delle cifre portanti della poetica di Vasco, anche verbale, tanto che la strampalata storia di Colpa d’Alfredo, pur cantata a squarciagola dai gruppetti di ragazzi che la associavano all’Avvelenata di Guccini, faceva fatica ad essere trasmessa non solo dai circuiti ufficiali, ma anche dalle radio libere.

In ogni caso Vasco si stava affermando (e per primo! ricordiamo fra parentesi che il suo antagonista principale negli anni a venire, Luciano Ligabue, uscirà con il suo primo album solo nel maggio del 1990); Siamo solo noi nel 1981 lo consacra come poeta di una generazione che da lì in poi lo seguirà e via via si rinnoverà e si amplierà con nuovi adepti. Il penultimo posto al Festival di Sanremo 1983, vinto da Tiziana Rivale con Sarà quel che sarà e che vedeva fra i primi posti anche Vacanze Romane dei Matia Bazar e l’altro inno (nazional-popolare) L’italiano di Toto Cutugno, ci fa capire un pochino il contesto di quegli anni, ma al tempo stesso è l’inizio di un vero e proprio punto di riferimento per uno stuolo immenso di fan. Non lo abbiamo ancora detto, il brano presentato era niente meno che Vita spericolata, che penultimo o no, di lì a breve diventerà inno di una e più generazioni.

Per una cronaca più approfondita della carriera di Vasco Rossi, vi rimando a questo approfondito articolo apparso su AGI – Agenzia Italia, non essendoci qui lo spazio per una, pur interessantissima,  disamina più ampia. Come pure, per un simpatico e sintetico riassunto delle varie fasi della sua vita, potete guardare questo tweet animato proposto dallo stesso artista e riportato anche nell’articolo citato sopra.

Cosa resterà di questi anni ’80?

Ho preso in prestito la frase di un’altra famosissima canzone di Raf per tirare un po’ le fila del discorso. Come si evolve la carriera, la poetica, il mondo di riferimento di un artista fra i più seguiti in assoluto? Innanzitutto non dimentichiamo che Vasco è uomo da record e da grandi affermazioni, nel bene e nel male. Se approfondirete un po’ la biografia troverete molto di più, ma appuntiamoci gli eventi principali: vendite da capogiro; pareri lusinghieri di illustri colleghi (De André dichiarò Vasco l’unico rocker credibile in Italia); grandi cadute, come le accuse di spaccio ed anche il carcere; la risalita fino al concerto con il più grande numero di biglietti venduti (Modena, 2017, 220.000 ticket staccati!); sei concerti di fila nello stadio di San Siro a Milano, e via di questo passo.

I fattori di un grande successo

Tutto questo è dovuto ad una serie di fattori concomitanti, a partire dal trattare il proprio lavoro con grande professionalità, attorniandosi per esempio, insieme ad una serie di amici (e comunque musicisti di spessore, come il chitarrista Maurizio Solieri) di grandi professionisti; uno su tutti il grandissimo session man rock Stef Burns, ma anche molti altri grandi musicisti. Certamente poi (coadiuvato spesso per le musiche da Tullio Ferro) non bisogna dimenticare la presenza di grandi canzoni, che restano negli anni; ne voglio ricordare solo due – ma sarebbero molte di più – a cui sono particolarmente legato io: Vivere, manifesto della disillusione, del 1993 e Gli angeli del 1996, dedicata all’amico Maurizio Lolli, prematuramente scomparso per un male incurabile. In quest’ultima c’è poi uno straziante assolo di elettrica distorta, affidato sull’album all’immenso Michael Landau, che sottolinea ancora di più il dolore della perdita dell’amico.

Blasco fan club

Ma forse, concludendo, il fattore più importante per la storia, l’esperienza e la carriera di Vasco è stato il saper affiliare a sé uno stuolo indomito di fans: il concerto (per lui e per la verità per pochi altri, almeno in Italia) è una specie di rito cui partecipare, un evento cui non puoi mancare. E questo, se evidentemente ha anche delle conseguenze economiche positive per l’artista, deriva però a sua volta dall’essere stato capace di creare un mondo di riferimento, dei luoghi – veri, fisici o dello spirito – a cui tornare attraverso le canzoni. Uno dei chitarristi che per un certo periodo hanno affiancato Vasco è un caro amico, Nando Bonini, con cui ho lavorato per diversi anni. All’uscita dei primi lavori di Ligabue, mi raccontava che Vasco, pur pienamente sulla cresta dell’onda (era l’epoca de Gli spari sopra), capiva la portata di quell’artista ed era l’unico che – per così dire – temeva un po’, perché era riuscito a creare anche lui un immaginario di riferimento, un Bar Mario dove un decennio prima c’era stato il Roxy Bar, l’autogrill dove ci si ritrova di notte, e via dicendo. Timore certamente fondato, visto il successo che ha avuto anche il rocker di Correggio, tuttavia Vasco, come ha detto più volte negli ultimi anni, è ancora qui!

E punti negativi? Beh, sicuramente molti lo hanno attaccato per essere stato cattivo maestro, volgare, trasgressivo e per aver forse troppo sdoganato una maniera di porsi ‘contro’ e non edificante, appunto. Molti dall’altra parte lo hanno accusato di averci invece giocato: maledetto di facciata, ma non, diciamo, di fatto. Sicuramente le canzoni di Vasco hanno fatto emergere delle domande sull’esistenza, a tratti un grido anche drammatico. La sua vita è stata davvero ai limiti, almeno per certi periodi. Detto questo, ogni artista sceglie il suo personale percorso, ed uno dei punti di forza di chi invece sostiene Vasco Rossi è l’essere stato vero, sia negli slanci che nelle debolezze. Il mio personale parere è che se si può trovare un punto debole, questo è una certa ripetitività, potremmo dire: il grido drammatico è rimasto lo stesso, ma forse allora non era poi così drammatico. O, a voler essere cattivi, non ha mai cercato veramente una risposta.

Ma è proprio questo che in qualche modo è cifra del personaggio (o della persona); il desiderio, talvolta struggente, di trovare un senso (non dimentichiamo, fra le grandi canzoni, proprio Un senso, del 2004), viene raccontato e riraccontato in tante canzoni, mantenendo sempre un alto livello musicale e produttivo e come già detto, un grande rispetto del pubblico. E questo fa sì che i suoi fans proprio nella ripetitività e nel poter ritrovare lo stesso mood, le stesse domande, le stesse ansie, hanno trovato e trovano una casa.  

Walter Muto

 


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

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