Punk? Alcune linee per un’interpretazione

E pensare che pochi anni prima, dopo la fine dell’epopea-Beatles (agosto 1970), era stata la musica suonata bene a riempire le orecchie e i cuori dei giovani britannici. Soprattutto con una forte ripresa del Blues delle origini (che porta poi all’Hard Rock) da una parte, ed addirittura con il Progressive Rock, che mescolava Folk, Rock e musica classica in canzoni lunghe e complicate, talvolta vere e proprie suite. Si pensi a Jethro Tull, Yes e Genesis, per citarne solo tre. Ma di tutto questo parleremo magari altre volte.

Proprio come reazione a tutto questo – ma prima ancora come ribellione a tutti i sistemi imposti, condita dall’impulso a distruggere tutto ciò che era ritenuto inadeguato – nasce il cosiddetto Punk, oggetto di questo tentativo di approfondimento, o meglio, di chiarimento iniziale.

Innanzitutto il dizionario di Google: punk, sostantivo

  1. sostantivo maschile e femminile
    Seguace di un movimento giovanile di protesta, sorto verso la fine degli anni Settanta del sec. XX in Inghilterra e negli Stati Uniti, e caratterizzato dall'ostentata esibizione di forme di abbigliamento e di acconciature di capelli vistosamente eccentriche, e da posizioni violentemente polemiche nei confronti della società consumistica; anche come aggettivo ( invar. ) - "moda"
  2. sostantivo maschile

Genere di musica rock nato nel 1977, contraddistinto dall'uso di una strumentazione essenziale, dal rifiuto delle linee melodiche e dal carattere dissacrante dei testi.

Letteralmente la parola significa “di scarsa qualità, da due soldi” o anche “marcio, di poco conto”. L’origine del genere è da ricercarsi non nel Regno Unito, e non nel 1977, come comunemente si può credere, ma nel nuovo mondo, a New York intorno al 1974. Il CBGB’s (acronimo di Country, BlueGrass and Blues, locale che in realtà ospitava gruppi che suonavano tutto meno che i generi riassunti nel nome!), comincia ad ospitare band che proseguono in modo ancora più trasgressivo il cosiddetto garage rock della fine degli anni ’60. Prima i New York Dolls (band maschile i cui membri suonavano travestiti da donna) ma soprattutto i Ramones, che presentano un repertorio di canzoni estremamente efficaci e caratterizzate da sonorità grezze, distorte e prive di tecnica strumentale.

Giriamo pagina: un altro personaggio chiave per la nascita del Punk fu Malcolm McLaren, amico di Vivienne Westwood (che diventerà una famosa stilista), che dopo aver lasciato il college e aver cercato fortuna in vario modo, rileverà un negozio di Londra, ribattezzandolo Sex e vendendo lì capi (per l’epoca) decisamente trasgressivi, nuovi e usati e perlopiù provenienti dagli Stati Uniti:  gonne e pantaloni in vinile, jeans stracciati e amenità varie. Nell’autunno 1974, dopo un viaggio a New York e dopo aver respirato l’aria di quel rock descritto sopra, McLaren torna a casa e decide di prendere quattro ragazzi che frequentavano la boutique sua e della Westwood e mettere su una band musicale. Anni dopo, ricordando di aver scelto lui il nome – Sex Pistols – dichiarerà: “Non ce n’era: comandavo io e non avevo tempo da perdere con una banda di ragazzotti che andasse in giro con un altro nome. Io ero lì per vendere un mucchio di pantaloni”. Nasce così la band che, a torto o a ragione, è ritenuta uno dei vessilli del Punk, o come si chiamava inizialmente, Street Rock.

Sì, perché il nome Punk viene coniato solo nell’autunno dell’anno successivo, quando appare nell’omonima rivista in Connecticut (di nuovo Stati Uniti). La rivista amplifica e diffonde quello che succedeva al CBGB’s e in un’epoca senza internet contribuisce alla nascita di nuove band che propagano il verbo di questa nuova, aggressiva ed elementare musica. Nel Regno Unito i Sex Pistols cominciano ad esibirsi in piccoli locali e vengono seguiti da un gruppo di seguaci-teppisti, rigorosamente vestiti dal duo McLaren-Westwood, che cominciano a creare una sorta di movimento subculturale di contrapposizione al sistema e di protesta. Ben presto per il gruppo il gioco divenne quello di rimanere sul palco più che si poteva e darci dentro con il rumore, mentre man mano cresceva anche il gusto per le messe in scena caotiche, che non di rado finivano in rissa.

Questo è l’inizio di tutto e la storia sarebbe estremamente lunga da raccontare interamente. È molto ben dettagliata, con dovizie di cronache, fatti e particolari di ogni tipo, in un libro monumentale uscito in Italia nel 2002, Il sogno inglese, di cui cito la ristampa del 2010 nelle fonti, ancora reperibile online. Un riassunto abbastanza attendibile è quello della pagina Wikipedia, anch’essa riportata sotto. In breve, musica grezza, essenziale, affidata in genere a chitarre elettriche, basso e batteria e, genericamente parlando, di protesta. Strana la parabola diciamo ‘politica’ che colora questo movimento, partito come esperienza di estrema destra e divenuto poi espressione dell’estrema sinistra. Tanto che in Italia approda proprio come colonna sonora dei centri sociali, per essere poi sostituito, qualche anno dopo, dall’hip hop e dal rap.

Forse ci può donare qualche squarcio di luce per la comprensione qualche frase tratta da quei tempi:

«Essere punk vuol dire essere un fottuto figlio di puttana, uno che ha fatto del marciapiede il suo regno, un figlio maledetto di una patria giubilata dalla vergogna della Monarchia, senza avvenire e con la voglia di rompere il muso al suo caritatevole prossimo.»

(Johnny Rotten – Cantante dei Sex Pistols)

«In realtà non ci interessa la musica, ci interessa il caos.»

(Steve Jones – Chitarrista dei Sex Pistols)

«Il Punk aveva abolito la domanda: “Posso farlo?»

(Linder Sterling – Fotografa, copertinista dei Buzzcocks)

Per concludere, rimandando come già detto, a trattazioni più dettagliate, riportiamo solo tre annotazioni immancabili. Uno: il punk nasce da una operazione imprenditoriale, che poi si trasforma in sottocultura e protesta. Due: citiamo, fra la miriade di band generatesi in quegli anni, almeno i Clash, musicalmente più preparati di altre realtà e che ebbero il pregio introdurre nella miscela il reggae, appena importato dalla Giamaica. Tre: nell’estate del 1977 il Punk era sostanzialmente già finito, stereotipato, trasformato in new wave e senza più il furore che lo aveva caratterizzato – nel bene e nel male – all’inizio. Le parole finali sono ancora di Jon Savage, dal già citato testo: “Nel momento in cui una sottocultura diventa visibile, e aumenta perciò il proprio potere, c’è grande tensione fra il compiacimento per quel potere e la commercializzazione che, desiderata e disprezzata nello stesso tempo, irrompe come un direttissimo”. È successo molte volte ed anche con il Punk la storia si è ripetuta. Una protesta che nasce solo per distruggere e non per costruire inevitabilmente si schianta contro un muro. D’altronde “meglio bruciare in fretta che scomparire lentamente”, diceva un vecchio adagio. Il senso del Punk forse è tutto qui.  

Fonti

Il negozio al 430 di Kings Road http://laguidadilondra.blogspot.com/2012/09/430-kings-road-alla-fine-del-mondo.html

Il Punk su Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Punk_(cultura) 

L’intellettuale dissidente https://www.lintellettualedissidente.it/musica/guida-pratica-alla-riscoperta-del-punk/ 


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

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