Il Rap, da cultura underground a fenomeno di massa

Per trovare le origini del Rap - genere estremamente diffuso oggi non solo negli Stati Uniti ove nacque, ma anche qui da noi - occorre fare un salto indietro di circa quarant’anni, mese più mese meno. Vorrei in questo breve scritto delineare per sommi capi questo itinerario, tentando di farlo con una certa leggerezza ed agilità, senza soffermarmi troppo su tecnicismi e specialismi (non sarei nemmeno in grado), ma dando una panoramica di partenza  per chi voglia poi ulteriormente approfondire. Alcuni spunti e link sono riportati sotto, al termine dell’articolo.

È la fine degli anni ’70 quando nei sobborghi fatiscenti del Bronx, a New York appare un personaggio singolare, considerato ormai da tutti come iniziatore di quel movimento che si chiamerà HIP HOP. Kool DJ Herc viene dalla Giamaica e comincia a diffondere la musica per le strade della città, munito di un cospicuo impianto a bordo della sua auto decappottabile. Sostanzialmente Herc (all’anagrafe Clive Campbell, soprannominato Hercules per la sua stazza, poi Herc) riporta nel Bronx quello che aveva visto fare a Kingston, organizza per strada delle feste estemporanee mettendo musica ed inventando il ‘break’, cioè la ripetizione parossistica di un frammento musicale ripetuta più e più volte. Stiamo parlando di un DJ, che quindi faceva tutto questo mediante un paio di giradischi “suonando” la sua collezione di vinili.

Il Bronx era, per tutta una serie di ragioni, un quartiere dall’alto tasso di delinquenza, pieno di gangs che se le davano di santa ragione. Altro passo fondamentale per la nascita della cultura hip hop è l’emergere di un personaggio di nome Afrika Bambaataa, che per primo convinse la sua gang ad un atteggiamento pacifico. Per farla breve, invece di spaccarsi la testa a vicenda, ci si cominciava a sfidare a suon di musica. E di rime! Perché man mano prendeva piede la figura del cosiddetto MC, il maestro di cerimonia, che in un primo tempo è semplicemente l’intrattenitore della festa, poi man mano comincia a scrivere rime da scandire sul ritmo della base. Ed ecco che nasce il Rap. Per chiudere questa fase dei primordi, non si può non citare almeno Grandmaster Flash, ritenuto molto bravo come DJ e a cui i più ascrivono l’invenzione dello ‘scratch’, il far andare il disco di vinile avanti e indietro creando un break ritmico. Solo come riferimento, anch’esso da approfondire, si ricordi anche che in questa prima fase la cultura hip hop ed il rap erano legati a filo doppio con altre due espressioni artistiche ‘di strada’: i graffiti, creati dai cosiddetti writers (in italiano dicevamo ‘graffitari’, ma non si può più sentire!!) e la breakdance, danza acrobatica divenuta punto di riferimento per ballerini e coreografi ma staccatasi man mano dalla strada.

Per capire un filo di più di che si tratta, mi piace appoggiarmi ad un testo non da molto tradotto in italiano, scritto da un grande letterato americano insieme al suo compagno d’appartamento. Alcuni anni dopo l’esplosione dell’hip hop a New York, David Foster Wallace si trova a Boston per il suo dottorato di ricerca e condivide l’appartamento con Mark Costello, studente di giurisprudenza. Insieme assistono alla diffusione incredibile del Rap anche nella città dove risiedono, Boston, per l’appunto, e si sorprendono, cominciando a girare locali ed acquistare dischi, di come quel genere, quasi esclusivamente fatto e rappresentativo della popolazione di colore, possa interessare loro, giovani intellettuali bianchi e super istruiti. Eppure questo genere che - scriverà - si fa fatica a chiamare musica, li interessa e coinvolge tantissimo. Due brevi estratti da quel libro (in italiano Il Rap spiegato ai bianchi) ci danno un’idea del giudizio di Wallace:

“Man mano che lo studiavamo, scoprivamo che questa "nuova musica" non è neppure musica. Musica: suoni vocali o strumentali che presentano un ritmo, una melodia ed una armonia sufficientemente avanzate. Anche il "canto" del rapper è fondamentalmente un ennesimo strato della fitta trama del ritmo. Se si sviluppa un contrappunto è fra base ripetitiva e rima.”

 

Ma pur notando la quasi assenza di musica, se non nella base strumentale, coglieva anche un aspetto sorprendentemente positivo:

 

“Non solo il rap serio è vera poesia, ma molto probabilmente è il fenomeno più importante nel panorama della poesia americana contemporanea.

A causa della fulminea ascesa del rap troviamo che ragazzi poveri o difficili passano il loro tempo chini su una pagina di quaderno cercando di mettere insieme parole in maniere efficaci e creative - e in un modo probabilmente mai accaduto nella storia degli Stati Uniti D'America!”

 

Facendo un flash-forward fino ai giorni nostri, è quello che si può notare anche nel rap più recente: tolta la frangia per certi versi meno interessante della trap o del rap cosiddetto commerciale, all’interno delle rime dei rapper si può trovare una ricerca linguistica, un uso a volte spregiudicato di parole e rime, una tecnica di scrittura e di esposizione estremamente evoluta, un uso fenomenale della memoria.

Ma torniamo alla nostra storia per sommi capi. Il rap si evolve, fra alti e bassi di popolarità e talvolta si mescola con il pop. Band come i De La Soul fanno già diventare stereotipi le pose e i modi del rap – e siamo a metà degli anni ’80 – come pure faranno artisti pop più recenti, come per esempio Bruno Mars. In quegli anni ’80 il rap arriva anche in Italia, dove per un po’ di anni resta in ambito underground, andando a sostituire il punk-rock come musica di protesta, per esempio nell’ambito dei centri sociali. Per esempio il brano Stop al panico del collettivo bolognese Isola Posse All Star diventa una specie di inno nelle manifestazioni di piazza e nella protesta contro il sistema. Nomi che si possono collegare a questo periodo sono i Sottotono, gli Articolo 31, Neffa (che anni dopo lascerà la scena rap per canzoni più pop) e i romani Colle Der Fomento. Oltre a Jovanotti che primo fra tutti fa approdare il rap in televisione, nella trasmissione DeeJay Television. Mi scuso con tutti i non citati, magari ritenuti più importanti dai cultori del genere.

Diventerebbe esageratamente lungo arrivare passo passo fino ai giorni nostri. Diciamo che la cosiddetta Old School che aveva alimentato la prima grande ondata del rap va un po’ esaurendosi e di rap, almeno in Italia, per un certo periodo si parla poco. Poi però il genere ritrova nuova linfa nel passaggio al nuovo millennio (o giù di lì), anche se non è più solo rap, ma spesso si appoggia a dei ritornelli cantati, virando quindi verso la canzone. Uno dei brani più rappresentativi di questa tendenza è Quelli che benpensano  di Frankie Hi-Nrg, del 1997. Importante per questa ripresa anche la figura di Fabri Fibra, il ritorno degli Articolo 31 e la comparsa di nuovi personaggi come Club Dogo, Marracash e via via i rapper di nuova generazione.

Ma per concludere questa frammentaria infarinatura, andiamo a trovare nelle parole di David Foster Wallace quali erano (ma potremmo dire quali sono, perché tutto sommato l’estetica di base del genere è rimasta la stessa) i punti fondamentali del mondo rap.

“1. Quanto sono tosti, fichi, mitici il rapper e i suoi testi

  1. quanto i suoi rivali musicali siano privi di queste doti
  2. quanto siano fastidiose, stupide e avide le donne
  3. quanto sia splendido essere pagati bene per rappare invece di dover rubare o spacciare
  4. come le gang siano a tutti gli effetti vere e proprie famiglie.”

 

Confrontandomi con alcuni rapper in attività è emerso che grossomodo queste categorie sono ancora attive, forse con un leggero addolcimento del punto 3, visto che a livello mondiale c’è fra l’altro, anche una cospicua fetta di rapper al femminile. Come pure è ancora una pratica diffusa quella del freestyle, altro aspetto cui occorre minimamente accennare. Sostanzialmente è il concetto della ‘tenzone poetica’ di trecentesca memoria, una sfida rispondendosi per le rime. Solo che fra i rapper la sfida avviene in tempo reale, rispondendosi ed insultandosi a vicenda su una base ritmica e quindi dovendo sviluppare una capacità di reazione e di creazione delle rime davvero sorprendente. Volendo fare un rilievo sociologico, in molti ambiti della realtà stiamo assistendo ad una comunicazione sempre più ‘istantanea’ (i messaggi sugli smartphone e non più biglietti e lettere, le storie su instagram che dopo 24 ore scompaiono, le foto digitali e non più stampate): in questo senso le sfide di freestyle sono anch’esse figlie del nostro tempo veloce.

Insomma, non si riesce a concludere, perché il mondo del rap è estremamente vitale, sfaccettato ed in continua evoluzione. Le rime della maggior parte dei rapper includono volgarità spesso a raffica, giochi di parole pesanti, droga e sesso a bizzeffe, molto poca musica e grandi mitragliate di parole che, bisogna riconoscerlo, spesso mostrano una grande maestria nel miscelarle. Scuole e facoltà universitarie stanno cominciando a fare i conti con questo fenomeno, che indubbiamente modifica lingua, usi e costumi. Non si può fare finta che non esista. E per conoscerlo bisogna ascoltarlo, provando ad andare oltre la superficie e provando a scovare chi riesce a dire cose interessanti, magari usando immagini più riuscite, raccontando storie, usando in maniera nuova il linguaggio. Per citarne tre interessanti per me, Salmo, Clavergold e Murubutu (tutti italiani, non fatevi spaventare dai nomi…). C’è anche da dire che la scena rap, anche solo limitandosi a quella italiana, è un mare magnum nel quale è davvero difficile orientarsi, con decine di pezzi nuovi al giorno che escono, ci martellano e poi perlopiù scompaiono. Anche in questo occorre una guida, magari da parte di chi segue un po’ di più il genere, provando a fare la fatica di ascoltare.

Approfondimenti

KOOL DJ HERC e le origini https://youtu.be/LhisX4mVoDI

HIP HOP YEARS           https://youtu.be/LhrSlOa2bsA  (part 1)  https://youtu.be/euh_1KVIMvk (part 2)

I padri fondatori del RAP https://youtu.be/1G13bR0B0-8

L’evoluzione dell’Hip Hop una canzone all’anno, 1979-2017 https://youtu.be/PrqDFDEJMmU

Bibliografia

David Foster Wallace – Mark Costello – Il Rap spiegato ai bianchi – Minimum Fax, 2014

(DVD con libro) Enrico Bisi - Numero Zero: le origini del rap italiano – Feltrinelli, 2015


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

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