STONER

di John Williams

Oscar Mondadori Cult, 2024, p. 336 , € 14,00

 

 

Questa volta l’opera in questione si rivolge agli insegnanti in particolare. Stoner è un romanzo di John Williams pubblicato nel 2010 per i tipi di Fazi editore e viene ora ripubblicato per gli Oscar Mondadori preceduto da una ricca intervista all’autore. Williams è stato romanziere e docente di lingua e letteratura inglese, di recente oggetto di una riscoperta quanto al valore dei suoi scritti.

    Anche Stoner, il protagonista del romanzo, è insegnante in una piccola università del Midwest. La sua vicenda umana copre i primi tre quarti del XX secolo. All’inizio il giovane Stoner è semplicemente l’unico figlio di una coppia di contadini che ricorda molto le due figure del dipinto American Gothic di Grant Wood. Il ragazzo aiuta i genitori nei campi, non è uno sciocco e viene mandato in una piccola università a studiare scienze agrarie, nella speranza che possa scoprire qualcosa che permetta una resa migliore della povera terra della famiglia.

    In università è obbligato a seguire anche il corso di inglese, e qui entriamo in contatto con il mondo universitario della provincia americana. Con i suoi personaggi eccentrici e lo strano rapporto, o non rapporto, con il resto della società. Qui accade qualcosa che segnerà Stoner per sempre. L’insegnante un giorno declama un sonetto di Shakespeare e chiede agli studenti che cosa significhi la breve poesia.  Lo chiede proprio a Stoner, che non sa rispondere, stupito di se stesso e della sua mancanza di parola.

E’ quasi un attimo di rivelazione. Un momento di sorpresa, di scoperta.  Da quel momento, inspiegabilmente, deciderà di non seguire più corsi di scienze agrarie, ma di letteratura e filosofia.

   Ha inizio un nuovo percorso. Stoner non torna più alla terra, ma spinto anche dal suo docente, intraprende la carriera universitaria. Da quel momento si occuperà di segni, di parole, di grammatica, in breve, della lingua, che assorbirà la sua attenzione, la sua cura, il suo tempo. Ci sarà nella sua vita spazio solo per l’insegnamento, la ricerca. Con una sola eccezione, come vedremo. Non sono tanto i suoi studenti ad essere oggetto delle sue attenzioni, bensì la materia. L’autore lo afferma chiaramente anche nella intervista che precede il romanzo, un buon insegnante deve anzitutto amare la propria materia. Così mentre il tempo passa, la storia si dipana, prima guerra mondiale, depressione, seconda guerra e così via, ma Stoner continua il suo lavoro, tra lezioni, elaborati da correggere, tesi da rivedere. E’ quello il suo mondo.

   Poche le soddisfazioni che trae dalla vita famigliare, pochi i colleghi con cui armonizzare, un solo amico. La sua vera unica passione sono i libri, i testi, la parola scritta, l’architettura grammaticale, con l’eccezione di una avventura con una non giovanissima studentessa. Una avventura che abbraccia tanto la sfera affettiva, passionale direi, quanto il lavoro sui testi, sui libri, fino alla pubblicazione da parte della allieva.  Questa breve parentesi, così ricca di pathos, umani sentimenti, mette tuttavia in risalto il grigiore apparente dell’esistenza dí Stoner. Dico apparente perché non sappiamo se il protagonista se ne renda conto o gli interessi, se sia felice o voglia esserlo. La lettura ci consegna una storia di fiero stoicismo, necessariamente di solitudine, di fatica e di abnegazione che termina con un tumore maligno che lo consuma fino alla morte che lo coglie sul suo letto, solo, con a fianco, sul tavolino, la pila dei suoi libri.

    Stoner è indubbiamente un uomo del passato, vive nella prima parte del xx secolo, prima di qualunque rivoluzione sociale o culturale, come in effetti avverrà negli Stati Uniti a partire dagli anni sessanta. La sua vita è dedicata al lavoro che in qualche modo si è scelto. Come dicevo, non tanto dedicata a chi lavora con lui quanto al culto o gusto della lingua e della sua costruzione. Sorprende che quell’attimo di rivelazione che gli ha fatto cambiare il percorso universitario rimanga solo, unico. Per il resto, al di là di una breve, travolgente passione amorosa, non c’è posto per il sentimento, per un desiderio, neppure per uno sguardo verso l’alto. Ecco, siamo di fronte a un romanzo scritto etsi Deus non daretur. E va bene, se uno non crede, passi, ma che non ci sia neppure nel protagonista la traccia di un desiderio, di una speranza per sé o per la giovane figlia, la traccia di un sogno, ecco questo mi sorprende molto. E’ possibile affrontare le sferzate della vita solo aggrappandosi a un elemento parziale, affascinante ma sempre parziale, come la lingua, o la chimica o lo sport?

 

 


A cura di:

Marco Grampa

Laurea in Lingue e Letterature moderne presso IULM di Milano. Insegnante al Liceo Classico Crespi di Busto Arsizio per 20 anni, per otto anni presso il Liceo Scientifico Tirinnanzi di Legnano, dove ha operato come senior manager per scambi culturali con istituti australiani, portoghesi e USA.
Traduttore di opere soprattutto di carattere letterario da paesi di lingua inglese, in particolare africani.
Autore di racconti e brevi saggi per riviste locali.

 

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