SCOPERTE E RISCOPERTE DELL’ARTE: La Predella della Pala Oddi di Raffaello e Recycling Beauty

 

Nei mesi di gennaio e febbraio del nuovo anno, Milano offre due eccezionali occasioni per incontrare, e far incontrare agli allievi, opere d’arte di altissima qualità presentate in modo inedito.

Nel primo caso, al Museo Diocesano, fino al 29 gennaio, è in mostra, dopo un opportuno restauro, la predella di una delle opere del giovane Raffaello, la Pala Oddi, realizzata a Perugia tra il 1502 e il 1504.

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Raffaello, Incoronazione della Vergine (Pala Oddi), 1502 – 1504, temp. grassa su tav. trasportata su tela, 272x165 cm., Pinacoteca Vaticana

Perché solo la predella? Il prestito prevedeva solo questa parte, riportata alla brillantezza dei colori originari dal Laboratorio di Restauro dei Musei Vaticani, sicuramente più “moderna” della tavola soprastante: è incredibile la capacità del ventenne Raffaello di riassumere, nel breve spazio delle tre scene, tutte le conoscenze acquisite negli anni della formazione, tra Urbino e Perugia, e di rimetterle in gioco in una lettura personalissima di temi e composizioni.

Certamente l’Incoronazione della Vergine, tavola di grande impegno, con figure disposte su due registri, quello celeste e quello terreno, con gli Apostoli che intorno alla tomba sembrano ancora stupiti per la salita al cielo della Vergine, mostra già i segnali della libera creatività dell’artista, che sta svincolandosi dai modi del maestro Perugino. Ma nella predella fa più di un passo oltre la “scuola”.

La predella è costituita da un’unica tavola in cui Raffaello ha ricavato gli spazi per collocare le scene e dipingere, al termine, i motivi decorativi che le separano

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Raffaello, Predella della Pala Oddi, 1502-1504, olio su tavola, 39x188 cm

 

Nell’Annunciazione, il rigoroso spazio prospettico, che mostra il debito di Raffaello nei confronti di Piero della Francesca, lascia un “vuoto” nella parte più avanzata verso chi osserva, per non interporre nulla nel dialogo appena iniziato tra l’Angelo a Maria, un Angelo ancora in cammino e una Vergine che alza la mano come per chiedere tempo per riflettere. La scena ha la freschezza dell’evento “in atto”.

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Raffaello, Annunciazione, Predella della Pala Oddi, 1502-1504

 

Nell’Adorazione dei Magi, ancora una prova di bravura per la creazione della profondità spaziale mediante la diposizione di uomini e cavalli, a partire dal lato sinistro, in cui sembrano accalcarsi soldati, palafrenieri e accompagnatori, dai modi perugineschi; ma la folla si dirada via via che ci si avvicina alla Sacra Famiglia, quasi il punto di fuga di una costruzione prospettica, attorno alla quale Magi e pastori stanno inchinandosi. Una perfetta armonia cromatica completa quella compositiva.

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Raffaello, Adorazione dei Magi, Predella della Pala Oddi, 1502-1504

 

Infine, nella Presentazione di Gesù al Tempio, il gruppo centrale si raccoglie attorno ad un altare “rotante” in un momento quasi d’intimità, nel quale Simeone pronuncia il suo “cantico”. Il luogo in cui avviene la circoncisione è costruito con una straordinaria abilità: è anch’esso “rotante”, è un portico che gira all’esterno di un tempio a pianta centrale, ricevendo luce dal paesaggio sul fondo.

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Raffaello, Presentazione al tempio, Predella della Pala Oddi, 1502-1504

 

Appare chiara, quindi, fin dagli anni giovanili, la passione di Raffaello per l’architettura, antica e moderna, quella di Bramante, conosciuto ad Urbino e che ritroverà a Roma: il tempio dello Sposalizio della Vergine di Brera, realizzato a ridosso di questa predella, riecheggia il bramantesco Tempietto di S. Pietro in Montorio a Roma, che i personaggi della Presentazione sembrano “abitare”.

La mostra al Diocesano con il capolavoro per il Natale offre l’opportunità agli insegnanti di introdurre la figura e la carriera di Raffaello attraverso un punto di osservazione privilegiato e singolare, ma già un “seme” di quanto realizzerà nelle Stanze Vaticane e nelle opere mature.

 

Nel secondo caso, le opere presentate dalla stimolante esposizione, dal titolo Recycling Beauty, a cura di Salvatore Settis e Anna Anguissola con Denise La Monica, nella sede di Milano di Fondazione Prada fino al 27 febbraio 2023, sono molte e raccordate da un tema particolare: il “riciclo” della bellezza, quella delle opere antiche che hanno avuto una seconda o più vite. Per dirla con i curatori, “un’inedita ricognizione interamente dedicata al tema del riuso di antichità greche e romane in contesti post-antichi, dal Medioevo al Barocco.”

La mostra pone “l’attenzione sul momento in cui il pezzo antico abbandona la propria condizione iniziale o di rovina e viene riattivato, acquistando nuovo senso e valore grazie al gesto del riuso. Ogni elemento di reimpiego non solo modifica il contesto in cui è inserito, ma ne viene a sua volta modificato in un meccanismo di reciproca legittimazione e attribuzione di senso. Esplorare la natura fluida e molteplice degli oggetti d’arte che nel tempo cambiano per utilizzo, ricezione e interpretazione equivale a riflettere sulla natura instabile e trasformativa dei processi artistici.”

Un primo significativo esempio dell’esercizio visivo e mentale che i curatori chiedono al pubblico è l’opera “guida” della mostra, presente sui manifesti che pubblicizzano l’evento, un gruppo scultoreo a grandezza naturale di grande effetto, un originale del IV secolo a. C. legato alla produzione artistica dedicata alla figura di Alessandro Magno, forse portata a Roma come bottino di guerra. Nato per celebrare il re macedone, divenne un simbolo della potenza romana. Nel Medioevo, fu collocato sulla scalinata d’ingresso del Palazzo Senatorio, denominato “de lo lione” proprio per la presenza dell’opera antica: qui erano lette e a volte eseguite le sentenze capitali. Dopo vari spostamenti nel corso dei secoli, ha trovato la sua collocazione definitiva nell’Esedra di Marco Aurelio nei Musei Capitolini

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Gruppo di un leone che divora un cavallo, IV secolo a.C

 

Alcune opere, quindi, permettono di riflettere sulle ragioni funzionali, politiche e religiose del reimpiego, anche se il significato originario non veniva quasi mai compreso.

La maggior parte delle opere è collocate nel Podium, dove i plinti bassi permettono di percepire i pezzi esposti come un insieme, mentre le strutture simili a postazioni di lavoro incoraggiano un esame più ravvicinato grazie alla presenza di sedie da ufficio, dalle quali poter quasi dialogare con le opere.

Un caso significativo dell’”instabilità semantica dei manufatti antichi reimpiegati, ovvero la loro continua mutazione di significato” è il risultato dell’unione di due diverse opere (un ritratto e un corpo) risalenti al II secolo d.C.: la testa raffigura il volto di Antonino Pio (138-161 d. C.) e il corpo raffigura il flamen, il sacerdote romano devoto a un’unica divinità, nella sua veste caratteristica. Le due parti sono state accorpate in un’epoca successiva a quella romana e immaginata come San Giuseppe perché la testa barbuta e la veste, simile a un pallio, sono facilmente riconducibili all’iconografia cristiana.

Documentata per la prima volta a metà del XIX secolo, in Palazzo Sacripanti a Roma, diventato poi un convento di suore, la statua appare con la verga fiorita, l’attributo di San Giuseppe

Venduta a un mercante d’arte romano e successivamente acquistata dal collezionista danese Carl Jacobsen, fondatore della Ny Carlsberg Glyptotek, dove si trova oggi

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Podium con Statua di Antonino Pio come San Giuseppe, metà del II secolo d.C., marmo bianco a grana grossa con patina gialla, 225x97,5x80,5 cm., Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek

 

Un altro nucleo di manufatti evidenzia come la trasformazione di opere antiche in elementi di decorazione, pur danneggiando la loro integrità e il loro contesto originario, ne abbia paradossalmente assicurato la conservazione.

Un frammento della pavimentazione della cattedrale di Anagni, realizzato da Cosma tra il 1224 e il 1227, è stato ricavato sul retro di un’iscrizione del 207 d.C., conservata integralmente, che ricorda una strada costruita dagli imperatori Settimio Severo e Caracalla

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Cosma di Jacopo di Lorenzo, Lastra di marmo con decorazione cosmatesca e iscrizione in latino, XIII secolo

 

Può accadere anche che un’opera “moderna” sia scambiata per un antico manufatto, come per la Protome di Cavallo di Donatello, parte di una statua equestre commissionata da Alfonso il Magnanimo all’artista fiorentino e destinata a essere collocata nell’arco superiore della porta trionfale di Castel Nuovo a Napoli. Donatello cominciò a lavorare al progetto nel 1454, ma dopo la morte di Alfonso e la partenza dell’artista da Firenze, l’opera rimase incompiuta nella bottega dello scultore fino alla sua morte. Dopo essere stata collocata in casa Medici, fu donata nel 1471 da Lorenzo il Magnifico a Diomede Carafa, conte di Maddaloni e cortigiano del re Ferrante d’Aragona (figlio di Alfonso). Nella lettera di ringraziamento a Lorenzo, riemersa solo a fine XVIII secolo, Diomede Carafa non menzionava Donatello come autore dell’opera. Nella prima edizione delle Vite (1550), anche Vasari respinge l’attribuzione allo scultore fiorentino, ma recenti ricerche dello studioso Francesco Caglioti hanno attribuito la protome a Donatello.

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Donatello, Protome di cavallo (Testa Carafa), post 1454, bronzo, Napoli, Museo Archeologico Nazionale di Napoli

 

La mostra offre ai docenti infiniti spunti di lavoro in diverse direzioni, che permetteranno agli allievi di scoprire il “passato come un fenomeno instabile in costante evoluzione.”

In particolare, per quanto riguarda il riuso in epoca medievale, illuminante risulta il brano di Arnold Esch sul reimpiego di spolia antichi nel Medioevo:Spesso il reimpiego di spoglie nel Medioevo è stato spiegato con la diffusa presenza, e quindi la disponibilità, di pezzi antichi. Questa motivazione però non vale per il reimpiego ricercato, come dimostra questa semplice controprova: Venezia era totalmente priva di antichità e le andava a prendere nell’Egeo, riempiendo navi intere [...]. E questo ci dimostra che il reimpiego di materiali di spoglio ha una dimensione spirituale che travalica ampiamente quella materiale; a motivarlo non è tanto l’offerta di pezzi disponibili quanto la domanda, il desiderio dell’antico. Per il reimpiego non è indispensabile avere a disposizione l’antico: bisogna volerlo.”

Il progetto espositivo, concepito da Rem Koolhaas/OMA con Giulio Margheri, si sviluppa anche nella Cisterna, dove i visitatori incontrano, osservata da punti di vista diversi, la statua colossale di Costantino (IV sec. d.C.), una delle opere più importanti della scultura romana tardo-antica, di cui restano pochi frammenti marmorei, la mano e il piede destro, esposti nel cortile del Palazzo dei Conservatori a Roma. Il Colosso, ricostruito per la prima volta in scala 1:1, è la rielaborazione di una più antica statua di culto, probabilmente di Giove.

In questo caso, un’esperienza di ricostruzione attuale di un capolavoro antico può far rivivere le emozioni provate da chi lo vide per la prima volta e, quindi, far rinascere l’opera.

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Ricostruzione del Colosso di Costantino, 312 d.C

 

 

 

 

 

A cura di:

GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.

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