"GOYA. LA RIBELLIONE DELLA RAGIONE", la contemporaneità dell'arte di Francisco Goya

 

La mostra, aperta a Palazzo Reale fino 3 marzo 2024, credo sia uno degli eventi dell’anno non solo per Milano e Lombardia, ma per l’Italia e il mondo. Se nel 2010 alcune opere dell’artista erano state il cuore della rassegna milanese dal titolo “Goya e il mondo moderno”, che indicava i debiti tematici e formali che molti esponenti di movimenti pittorici, quali l’Impressionismo, il Simbolismo, le avanguardie espressionista e surrealista, avevano con il grande spagnolo, l’attuale esposizione è un reale approfondimento del processo creativo, delle motivazioni filosofiche e più ampiamente culturali del suo lavoro, del rapporto con l’ampia e varia committenza, ma anche della crescente necessità di poter creare liberamente, in sintonia con la nuova sensibilità romantica europea.
Curata da Victor Nieto Alcaide, delegato del Museo calcografico di Madrid, presenta l’intero percorso artistico del maestro spagnolo sviluppato in un lungo periodo storico, denso di avvenimenti politici, sociali e ideologici che segnano il passaggio dall’Antico Regime, dall'era dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese e delle guerre napoleoniche, all’Ottocento romantico, con la restaurazione assolutista, che spinse l’artista ad allontanarsi dalla Spagna, oltre che per problemi fisici, negli ultimi anni della vita.
Goya non si limitò a rappresentare quest’epoca turbolenta, ma propose una rivoluzione della pittura in sintonia con la complessità storica che espresse attraverso le immagini.
Percorrendo le sette sezioni tematiche sarà possibile scoprire come la sua pittura, ma anche la sua arte incisoria, siano “senza modelli”, espressione intima e irripetibile di un linguaggio nuovo.

Ci vengono incontro, nella prima sala, due autoritratti dell’artista, il primo (1) è inserito all’inizio dei Capricci (mentre all’interno della serie compare la più nota immagine dell’artista che sogna, circondato da animali notturni inquietanti). Goya appare di profilo, vestito all’ultima moda francese, come ad indicare l’apertura al nuovo, al presente.

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1 Goya, Autoritratto, 1797-99, acquaforte, acquatinta,puntasecca, dai Capricci, serie 1

Il secondo (2) è l’Autoritratto al cavalletto che precede di qualche anno l’incisione, un olio su tela insolito, a figura intera, in cui l’artista sembra volersi presentare, quasi una dichiarazione d’intenti: regge tavolozza e pennello, ma di lato compare anche una scrivania per suggerire il carattere intellettuale del suo lavoro; elegante, vestito da majo, non certo con l’abito da atelier. E’ collocato davanti ad un’intesa fonte di luce, che fa apparire il suo corpo, in particolare il volto, in ombra.

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2 F. Goya, Autoritratto al cavalletto, 1785, olio su tela

 

Non è un caso che nella stessa sala siano collocati anche due tra i più notevoli ritratti realizzati agli inizi della sua carriera, quelli del Re Carlo IV e della Regina Maria Luisa di Parma, datati 1789, un anno drammatico per la storia della monarchia, almeno quella francese. Anche queste opere non appaiono per nulla idealizzate, i sovrani sono presenti in tutta la loro “verità” fisica e psicologica e neppure l’eleganza dell’abito riesce a distrarci dai tratti “autentici” dei loro volti.
Nella terza sezione, dedicata al lavoro su commissione e alla clientela di Goya, vedremo molti altri ritratti richiesti da persone di diverse classi sociali, dalla Casa reale ai nobili, dagli intellettuali illuministi ai membri della Chiesa, ai suoi amici: in tutti rivela, in modo più o meno esplicito, il suo rapporto con il personaggio ritratto: umana simpatia, rispetto, affinità di idee, etc.; si tratta di una novità rilevante all’interno della storia dell’arte, che presupponeva solitamente una distanza dal modello.

 

Tre quadri meritano una sosta prolungata per apprezzare la grande qualità pittorica di Goya e l’intensità delle espressioni dei personaggi ritratti: Maria Gabriela Palafox (3), imponente ritratto in piedi della nobildonna che posa con naturalezza, realizzato nel 1804, illuminata da una luce che ravviva il volto e rende leggera la seta dell’abito.

goyatre3 F. Goya, Maria Gabriela Palafox, 1804, olio su tela, Coll. privata, Madrid

Un ritratto originale è anche quello di Joaquina Candado Ricarte (1802-04) perché la donna siede su un tronco d’albero ed ha uno sguardo particolarmente intenso rivolto all’osservatore, quasi come quello del cagnolino ai suoi piedi.

Ma sicuramente il ritratto più amato da Goya (4) è quello di Marianito Goya, 1813-15, figlio di Javier, l’unico dei sette figli dell’artista sopravvissuto alla morte precoce. Il bambino, vestito elegantemente, si trova accanto ad uno spartito musicale perché frequentava lezioni di musica.

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4 F. Goya, Ritratto di Marianito Goya, 1813-15, olio su tav., Coll. privata, Madrid

 

Fin da questi primi capolavori, capiamo che il percorso di Goya sarà all’insegna della libertà artistica, benchè i soggetti siano ancora quelli che la tradizione o la committenza chiedeva: la sua formazione accademica, dove vigeva il principio della mimesi, non gli impedì di cominciare ad usare il colore in modo nuovo, svincolandolo dal rigore del disegno. Come scriverà nella relazione sul ruolo dell’insegnamento in Accademia, «non vi sono regole in pittura», ed insisterà sulla necessità di far precedere la pratica alla teoria, sottolineando il ruolo del disegno personale e del talento, a differenza di quanto insegnava Mengs, maestro della pittura neoclassica. Già nei decenni in cui lavorava per la Corte divenne sempre più consapevole di una propria personale concezione di pittura, fino a pensarla in relazione al proprio stato d’animo personale, talvolta in comune accordo con il committente.

Nella seconda sezione - Il popolo si diverte. Il gioco, le feste, lo spettacolo -, la serie dei giochi dei bambini, forse nati come cartoni minori per la Reale Manifattura di Arazzi di S. Barbara, ma mai tradotti in arazzo, presenta una pennellata libera che costruisce sinteticamente le piccole figurette impegnate nelle tipiche attività infantili; lo sguardo dell’artista è attento anche alle condizioni di povertà in cui vivevano e all’imitazione delle occupazioni degli adulti, come in Bambini che giocano ai soldati e Bambini che giocano alla corrida, anticipando dei soggetti che l’artista tratterà in modo ben più drammatico in opere successive.

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5 F. Goya, Bambini che giocano ai soldati, 1777-85, olio su tela, Fondazione di Santamarca e di Sa. Ramon e San Antonio, Madrid

Nella Tauromaquia (1815-16), Goya se da una parte presenta la corrida come un lieto evento di festa popolare, dall’altra, forse influenzato dalle incisioni dei Desastres, sposta l’attenzione su fatti tragici verificatisi nel pieno della festa: nell’incisione riprodotta a lato (6), la folla spaventata e in fuga dal toro è tutta collocata sul lato destro, lasciando il vuoto sul lato opposto, rendendo la scena ancor più drammatica. Robert Hughes, nel 2004, aveva scritto che Goya anticipava alcune delle idee successive dell'arte europea, in particolare notava la "nuda potenza con cui (…) ha contrapposto il vuoto al solido, il nero alla luce, lo spazio vuoto al pieno".

goyasei6 F. Goya, Disgrazia avvenuta nell’arena di Madrid, 1815-16, acquaforte

 

Nella quarta sezione, l’interesse si concentra sulla frequentazione di alcuni illuministi spagnoli, come Jovellanos e Moratin, che rese più acuto in Goya il senso critico nei confronti della tradizione e dei costumi correnti, fino a diventare uno spirito ribelle di fronte alle contraddizioni dell’uomo e della storia. La ribellione arrivò a sconvolgere la pratica pittorica, dal disegno al colore, alla composizione. Basterebbe osservare il Ritratto di Gaspar Melchor de Jovellanos (7), amico letterato, ma anche giurista e politico di spicco – il ritratto venne eseguito quando era ministro di Grazia e Giustizia – che viene colto da Goya in un momento intimo, in atteggiamento pensoso e melanconico, con il capo sorretto dalla mano appoggiata all’elegante scrivania, sulla quale domina un bronzo di Pallade Atena, dea della saggezza. L’artista posa il suo sguardo umano su tutto e su tutti, ma lo farà con una radicalità senza precedenti nelle sue ultime opere.

goyasette7 Ritratto di Gaspar Melchor de Jovellanos, 1798, olio su tela, Prado, Madrid

 

Già nel 1799 aveva pubblicato i Capricci, 80 stampe a tema satirico e critico, create in piena libertà e per sé stesso, per esplicitare il proprio stato di coscienza, come nella famosissima incisione Il sonno della ragione genera mostri. Ma è nei Disastri della guerra, che emerge con forza il pensiero personale dell’autore sulle atrocità della guerra franco-spagnola, e più ampiamente sul male universale che ogni guerra provoca.
Tutte le stampe, spesso accompagnate dalle lastre di rame originali, recentemente restaurate con un metodo innovativo che ha permesso di portarle alla perfetta nitidezza, vanno ammirate per la loro originalità e forza, ma ne segnalo una che colpisce per la carica drammatica propria di un evento in atto.

Stragi di guerra (Disastro 30) presenta l’interno di una casa, dove tutto è scagliato in aria dopo l’esplosione, oggetti e corpi. Prima ancora di poter riflettere sull’accaduto, siamo spinti dentro la scena che accade davanti a noi. Le sofferenze della popolazione civile per l’insensata violenza -ecco dove sta il sonno della ragione- sembrano anticipare lo straziante squarcio di Guernica, che un altro grande spagnolo, Picasso, realizzò più di cento anni più tardi per fissare la strage della città basca appena bombardata dai tedeschi

goyaotto8 F. Goya, Stragi di guerra (Disastro 30), 1810-14, acquaforte, puntasecca, bulino, brunitoio, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Calcografia Nationale, Madrid

 

Un senso di straniamento provoca anche uno dei quadri ad olio più inquietanti della mostra, Il manicomio (9). Benché Goya abbia sempre avuto grande interesse per la malattia mentale - si recò più volte al manicomio di Nuestra Seňora de Gracia a Saragozza dove erano ricoverati una zia e un cugino di sua madre- in quest’opera realizza un’allegoria della follia universale, che colpisce tutti, anche chi governa. La composizione è volutamente disordinata, anche se i malati sono, quasi ironicamente, in cerchio attorno ad un capo tribù.

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9 F. Goya, Il manicomio, 1812-19, olio su tela, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid

 

Il percorso chiaro e ben documentato, che il curatore ha proposto, permette di indagare più a fondo sulle ragioni dell’umana follia, ma anche sulla lucida capacità di giudizio di un uomo che non ha mai smesso di prendere le parti dei deboli, di chi subisce ingiustizia, di chi persegue la ricerca della verità. Nell’ultima sala, Il Colosso, realizzato nel 1812 ca., potrebbe essere l’immagine del popolo spagnolo che dai Pirenei si leva, come un gigante, contro Napoleone, una delle più esplicite forme di ribellione della ragione create da Goya.
Scriveva Baudelaire che il merito grande di Goya sta nel creare il mostruoso verosimile. I suoi mostri sono nati pieni di vita, di armonia … Tutti quei contorcimenti, quelle facce bestiali, quei ghigni diabolici sono pervasi di umanità”.

 

 

A cura di:

GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.

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