VINCENT VAN GOGH, PITTORE COLTO

 

Percorrendo gli spazi della mostra “Vincent van Gogh. Pittore colto”, a cura di Francesco Poli con Mariella Guzzoni e Aurora Canepari, che si è tenuta al MUDEC di Milano dal 21 settembre 2023 fino al 28 gennaio 2024, si è avuta la sensazione di vedere qualcosa di inedito e sorprendente e all’uscita si era certi di aver aggiunto tasselli importanti alla conoscenza dell’artista: questo è ciò che è capitato a me. Infatti, l’esposizione ha inteso ribaltare gli stereotipi che continuano a condizionare la narrazione della vita dell’artista (solitario, perennemente a contatto con la sola natura, ecc.) presentandolo invece come un appassionato lettore e collezionista di stampe, oltre che attento osservatore delle tendenze artistiche a lui contemporanee. Van Gogh (1853-1890) ci appare, quindi, come un grande pittore, ma anche un intellettuale estremamente colto, tanto che scrisse in una lettera “I libri la realtà e l’arte sono una cosa sola per me”.
Il percorso cronologico e tematico proponeva disegni e dipinti di Van Gogh, e di artisti che lui ha ammirato, attraverso una sorta di lettura comparata tra pittura e cultura dell’artista. Infatti, le opere provenienti soprattutto dal Museo Kröller-Müller di Otterlo sono state presentate in dialogo con una accurata selezione di oltre trenta edizioni originali di libri e riviste d’arte, provenienti dalla collezione della curatrice e dalla Biblioteca Malatestiana, disseminati in vetrine a tema lungo tutto il percorso di mostra.

 

IN OLANDA. LE BRUME DEL NORD

La prima sezione presenta l’artista nei luoghi della sua formazione e delle giovanili esperienze artistiche, tra l’Aia e Nuenen, fino a quando arriva, nel dicembre del 1878, nel bacino carbonifero del Borinage in Belgio, dove si impegna come predicatore evangelico laico nella comunità dei minatori fino al 1880. L’artista inizia a disegnare e proprio in questi anni prende la decisione di diventare pittore.
Il grande disegno, a tecnica mista, Le portatrici del fardello (1), rappresenta in modo sinteticamente realistico un gruppo di donne che trasportano sacchi di carbone sulle schiene piegate, in un paesaggio desolato. E’ chiara, nella scelta del soggetto, l’influenza che su di lui ebbe Jean-François Millet (passata anche attraverso la biografia illustrata che Alfred Sensier dedica a Millet e pubblicata nel 1881), maestro d’arte e di vita, da cui assorbe una visione profondamente religiosa della natura e degli uomini. Nel disegno sono sottolineate la fatica e le sofferenze che segnano la condizione di vita dei più poveri della società.

fardello1. V. van Gogh, Le portatrici del fardello, 1881, matita, penna con inchiostro (probabilmente scolorito)
e acquerello opaco su carta vergata originariamente azzurra, Kröller-Müller Museum, Otterlo

 

Nella sala, altre opere di Millet vengono riproposte da Van Gogh in molti disegni, come l’Angelus, gli Zappatori (disegno messo a confronto con un’incisione del pittore francese) e Il Seminatore. Di Millet è presente anche il bellissimo dipinto La fine del villaggio di Gruchy del 1856. Le vetrine contengono i libri fondamentali per l’artista in questi anni, spesso citati e commentati nelle sue lettere al fratello Theo e agli amici, come la Bibbia e opere di scrittori contemporanei che affrontano temi sociali, tra cui Michelet che, nella Storia della Rivoluzione Francese, attribuisce al popolo un ruolo attivo mettendolo al centro della dinamica rivoluzionaria; Beecher Stowe con La capanna dello zio Tom, che denuncia la condizione degli schiavi in America; Dickens, Hugo, e Shakespeare.
L’artista inizia anche a collezionare illustrazioni (quasi duemila), in particolare dal The Graphic, settimanale inglese illustrato e, dal luglio del 1882 i testi di Émile Zola, autore che preferirà a lungo, leggendo “tutto” di lui. Nello stesso anno, conosce Clasina Maria Hoornik (detta Sien) e il legame con la donna è documentato dal drammatico disegno Donna sul letto di morte.

Dopo aver lasciato Sien nel 1883, ritorna dai genitori a Nuenen (dove il padre era stato trasferito).
Qui, in due anni di intenso lavoro, disegna moltissimo e dipinge circa duecento quadri dai toni scuri e terrosi, come la serie I nidi (Jules Michelet (1798-1874) aveva pubblicato a Parigi L’Oiseau, illustré de 210 vignettes sur bois dessinées nel 1887 per le edizioni H. Giacomelli Hachette), paesaggi, e una serie di studi di teste e ritratti di contadini.
La sua prima grande composizione, I mangiatori di patate è ricordata da una litografia (2) che la riproduce con fedeltà.

patate2. V. van Gogh, I mangiatori di patate, aprile 1885, litografia su carta, Kröller-Müller Museum, Otterlo

In questo periodo, l’artista studia in modo sistematico la Grammaire des arts du dessin di Charles Blanc, un testo fondamentale per la conoscenza degli effetti pittorici della legge del contrasto simultaneo dei colori complementari, che lo prepara al trasferimento a Parigi.

 

A PARIGI. LA VILLE LUMIÈRE

Nella seconda importante sezione, che riguarda il periodo parigino - dal febbraio 1886 al febbraio 1888, molte sono le opere che documentano un deciso cambiamento dei caratteri pittorici, grazie all’uso di una sua tavolozza cromaticamente più viva e luminosa e l’adozione delle tecniche impressioniste e “pointilliste”, elaborate in modo molto personale.  
Il fratello Theo, direttore di una filiale delle Gallerie Goupil, lo mette in contatto con l’ambiente artistico più avanzato e Vincent moltiplica visite a musei e gallerie, conoscendo, tra gli altri, Henri Toulouse-Lautrec ed Émile Bernard che diventano suoi amici.
I libri diventano addirittura i soggetti dei suoi quadri, come nella Natura morta con statuetta e libri (3) dove vediamo al centro Bel-Ami di Guy de Maupassant e Germinie Lacerteux dei fratelli Goncourt che raccontano “la vita così com’è”.

gesso3. V. van Gogh, Natura morta con statuetta in gesso e libri, 1887,
olio su tela, Kröller-Müller Museum, Otterlo

 

 

Nella sala spicca l’eccezionale Autoritratto (4) dipinto alla “maniera impressionista”:

olio4. Vincent van Gogh, Autoritratto, aprile-giugno 1887,
olio su cartone, Kröller-Müller Museum, Otterlo

 

A Parigi van Gogh sviluppa una grande ammirazione per le stampe giapponesi, collezionate in gran numero. L’artista Philippe Burty, nel 1872, aveva coniato il termine “giapponismo” per definire il fenomeno di fascinazione per il Giappone che ha interessato gran parte degli artisti europei alla fine del XIX secolo. Il Giappone aveva partecipato alle Esposizioni Universali tenutesi nel 1867 e 1878 a Parigi e in città vi erano negozi come La Porte Chinoise del mercante Siegfried Bing, specializzato in pezzi giapponesi e fondatore della rivista “Japon Artistique”, e caffè alla moda come Le Divan Japonais e il Café Tamburin.

In mostra sono esposte una quindicina di stampe giapponesi e xilografie originali di maestri come Hiroshige (5 e 6) e Hokusai, provenienti dal Museo Chiossone di Genova, che conserva la più importante collezione di stampe ukiyoe in Italia. In particolare, è presentato il volume illustrato Cento vedute del Monte Fuji di Hokusai, molto ricercato dai collezionisti di Parigi alla fine dell’800.

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5. Utagawa Hiroshige (1797-1858), Il giardino dei pruni di Kameido, da “Cento vedute di luoghi celebri di Edo”, 1857,
stampa xilografica policroma, Museo d’Arte Orientale E. Chiossone, Genova

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6. Utagawa Hiroshige (1797-1858), Acquazzone serale sul ponte Shin-Ōhashi ad Atake, da “Cento vedute di luoghi celebri di Edo”. 1857,
stampa xilografica policroma, Museo d’Arte Orientale E. Chiossone, Genova

Van Gogh studia L’art japonais di Louis Gonse, storico dell’arte e collezionista, opera di riferimento del periodo, pubblicata in Francia nel 1883, che in mostra vediamo nell’edizione speciale ristampata nel 1886 in 50 copie per Sigfried Bing, il maggior mercante d’arte giapponese di Parigi, dal quale Vincent acquisterà più di 600 stampe.

 

IN PROVENZA. LA RICERCA DELLA LUCE

Van Gogh sogna di fondare una comunità di artisti nel sud della Francia, dove l’intensità luminosa ad il calore sono più forti che a Parigi e dove sperimenta nuovi impasti cromatici. Ad Arles arriva anche Paul Gauguin, ma il sodalizio tra i due pittori dura pochi mesi e lascia Vincent molto provato.
La bellezza della natura ed il rapporto con alcune persone del luogo, come i coniugi Ginoux, il postino Roulin, lo Zuavo, la Mousmé, che ricordiamo per gli eccezionali Ritratti, lo spingono a riprendere il lavoro.
Il Ritratto di Ginoux (7), il proprietario del Café de la Gare di Arles e amico dell’artista, può essere confrontato con due stampe giapponesi con ritratti di attori del teatro kabuki di Utagawa Kunisada e Toyoharu Kunichika per i colori piatti e intensi e i decisi contorni neri.

ginoux 7. V. van Gogh, Ritratto di Joseph-Michel Ginoux, ottobre 1888,
olio su tela, Kröller-Müller Museum, Otterlo

 

Echi della grafica giapponese, ormai del tutto interiorizzata e fusa con il suo linguaggio, si possono ritrovare in opere tarde (8 e 9), realizzate in Provenza, ad Arles o a Saint-Rémy, nel cui ospedale fu internato nell’ultimo periodo della vita. Di Arles, Vincent scriveva “mi dico sempre che qui sono in Giappone”.

salici

 8. V. van Gogh, Salici al tramonto, 1888, olio su tela su cartoncino,
Kröller-Müller Museum, Otterlo

pini9. V. van Gogh Pini al tramonto, 1889, olio su tela, Kröller-Müller Museum, Otterlo

Ed è qui che riceve, nel 1888, da Theo i primi due numeri di Le Japon Artistique, nuova rivista mensile curata da Sigfried Bing.

 

A SAINT-RÉMY. OSPEDALE DI SAINT-PAUL-DE-MAUSOLE

Nell’ultima sezione, da guardare con particolare attenzione per la sua bellezza, sono esposte opere realizzate nel periodo d’internamento all’ospedale di Saint-Rémy: quando riesce a liberarsi dalle frequenti crisi allucinatorie, dipinge scorci del giardino dell’ospedale (Tronchi d’albero con edera, Pini nel giardino dell’ospedale, Tronchi d’albero nel verde, Pini al tramonto, foto 9); paesaggi e uliveti nei dintorni (Uliveti con due raccoglitori di olive); scene notturne (Paesaggio con covoni e luna che sorge), e anche delle copie libere di opere di maestri amati come Délacroix, Rembrandt e Millet.
In ospedale, rilegge Shakespeare, che Theo gli ha inviato nell’edizione di Dicks da uno scellino (l’opera completa), presentata nella vetrina dedicata ai libri.
Nel 1890 espone al Salon Les XX di Bruxelles e riceve una critica positiva da Albert Aurier, ma nello stesso anno si trasferisce a Auvers-sur-Oise, e qui purtroppo, a luglio, muore prematuramente, prima di veder riconosciuta la sua grandezza artistica ed umana.

Al termine del percorso nella mostra non si può che constatare quale grande passione per la lettura abbia accompagnato van Gogh per tutta la vita, una passione che ha alimentato il desiderio di imparare a guardare e capire uomini e natura, per dipingerli nei suoi quadri e per restituire quanto da essi aveva ricevuto.
Già nel dicembre del 1883 scriveva: “Il mondo non mi interessa se non nella misura del debito che sento di avere verso di lui, insieme con l’obbligo, dato che vi ho camminato per tanti anni, di lasciargli per gratitudine qualche ricordo, sotto forma di disegni o di quadri che sono stati concepiti non per piacere all’una o all’altra tendenza, ma per esprimere un sentimento umano e sincero». [V. van Gogh, a Neunen]

 

 

A cura di:

GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.

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