Uomini e (o) macchine

In questo ultimo scampolo d’estate, mentre a scuola ci si sta già muovendo tra corsi di formazione e riunioni per le attività interdisciplinari, prendiamoci ancora un po’ di tempo per osservare e riflettere. L’occasione ce la offrono due mostre, una delle quali purtroppo chiusa l’8 settembre, che suggeriscono alcuni possibili criteri con cui affrontare la conoscenza del XX e gli inizi del XXI secolo, non solo dal punto di vista delle arti cosiddette figurative. Va da sé che tale suggerimento può tornare utile a chi, in particolare, deve impostare il lavoro nelle ultime classi, che affronteranno l’Esame di Stato.

Accomuna le mostre il fascino che l’uomo ha sempre avuto per la tecnologia (techné per i greci era sinonimo di arte, abilità, mestiere), per la trasformazione della materia e la creazione di strumenti e macchine utili alla vita.

La mostra Dall’argilla all’algoritmo. Arte e tecnologia, organizzata alle Gallerie d’Italia di Milano fino all’8 settembre, che mi auguro qualche lettore sia riuscito a vedere, indagava “la relazione tra tecnologia, soggettività umana e arte”. I curatori Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria, con il coordinamento di Gianfranco Brunelli, hanno immaginato un percorso intenzionalmente non-cronologico, prelevando opere dalle Collezioni di Intesa Sanpaolo e dal Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli, che proponesse all’osservatore un faccia a faccia con capolavori antichi – bellissimi i vasi greci, in particolare l’Hydria attica a figure rosse (470-460 a.C.) del Pittore di Leningrado che descrive i ceramografi al lavoro nell’atto di essere incoronati da Atena, dea della techné – e modernissimi, come la video installazione Hisser (2015) di Ed Atkins, in cui si indaga l’inquietante solitudine di un uomo causata dall’interconnessione digitale.

Più ci si inoltra nelle sale e ci si trova a confrontare le sequenze di Fibonacci rivisitate da Mario Merz con la Cena di Emmaus (1590 ca.) di Leandro Bassano, le Officine di Porta Romana di Boccioni con i tagli o l’Ambiente Spaziale (1967, ricostruzione 1981) di Lucio 

Fontana e l’Omaggio a Fontana (1989) di Pierpaolo Calzolari, più risulta chiaro che il tempo e lo spazio sono realtà e concetti aperti per gli artisti come per noi che li osserviamo e raccogliamo il suggerimento a mettere in gioco tutte le nostre facoltà percettive ed immaginative per conoscerli. La realtà, nei suoi aspetti più materiali o ineffabili, può e deve essere continuamente indagata e ricompresa, grazie anche alle novità che la tecnologia mette a disposizione. La tecnica amplia la nostra capacità sensoriale e multisensoriale, come è possibile sperimentare nel cinema ricostruito da Janet Cardiff e George Bures Miller nella grande sala d'ingresso, e ormai si spinge verso la robotizzazione e l’intelligenza artificiale. Se Giorgio de Chirico ci presentava l’uomo trasformato in macchina-manichino, Cécile B. Evans ci immerge in un mondo post-umano.

L’arte, per sua stessa vocazione, implica il nuovo, il cambiamento, ma le realizzazioni degli ultimi decenni sembrano profetizzare un mondo in cui saranno le macchine ad insegnare all’uomo a vivere e a creare. E’ un’ipotesi condivisibile? Possiamo già fare esperienza oggi di quanto sia affascinante e, nello stesso tempo, rischioso assecondare, soprattutto se acriticamente, le novità ipertecnologiche. Ogni nuovo linguaggio artistico veicola sempre un’interpretazione del mondo: all’uomo il compito di vagliarla.

Un’inedita visione del mondo fu, senza dubbio, quella proposta dai futuristi nei primi decenni del XX secolo: una bella mostra dal titolo Balla Boccioni Depero. Costruire Lo spazio del futuro, aperta fino al 3 novembre a Domodossola (Musei Civici di Palazzo San Francesco, Piazza Convenzione 11, apertura mercoledì-domenica 10-12 e 15-19; lunedì e martedì chiuso) la ripropone sinteticamente.

Ciò che la rende interessante è la capacità del curatore, Antonio D’Amico, coadiuvato, tra gli altri, da Nicoletta Boschiero, responsabile di Casa d’Arte Futurista Depero, Massimo Duranti, Presidente Archivi Dottori, Elena Gigli, responsabile dell’Archivio Balla, di mettere in relazione eventi, opere e personaggi legati o in rapporto col territorio e che permettono di comprendere come Domodossola sia scaraventata nel pieno della logica futurista e coinvolta nell’immaginario della modernità”.

Le oltre settanta opere esposte permettono di comprendere il rapido cambiamento intervenuto, a partire dagli ultimi due decenni del XIX secolo, all’interno della pittura divisionista, che in breve portò molti artisti 

a dinamizzare le loro composizioni, in sintonia con le novità che scienza e tecnologia stavano proponendo quotidianamente. Più ampiamente, ciò che stava cambiando era il “rapporto tra l’uomo e la natura, tra il centro e la periferia, tra la tradizione e il futuro.”

Un primo esempio di come la percezione dell’uomo stesse cambiando si ha nel confronto tra le figure-manichino dei teatrini di Depero e due mannequin in legno con costumi della Val D’Ossola realizzati nel corso del Settecento e restaurati in occasione della mostra.

Ancor più stretto appare il legame col nuovo che avanza se si osserva l’aeroplano di Geo Chávez, aviatore peruviano che per primo portò a termine l’impresa di trasvolare le Alpi nel 1910, passando nei cieli del vicino Passo del Sempione, sospeso nel soffitto di Palazzo San Francesco. L’inaugurazione del Sempione viene ricordata dal manifesto celebrativo di Leopoldo Metlicovitz del 1906 e presentato all’Esposizione Internazionale di Milano: due grandi eventi che, una volta di più, danno la misura di una rivoluzione in atto in molti ambiti dell’esistenza. 

Oltre a significative opere divisioniste e futuriste di Umberto Boccioni e Giacomo Balla, le sale presentano alcuni aspetti del secondo Futurismo, sviluppatosi tra le due guerre, in particolare quelli che documentano il fascino del volo e delle visioni totalizzanti e dinamiche di chi pilota un aeroplano: opere di Crali, Tato, Cambellotti, Dottori, ... Da oggetto quasi ludico, fonte inesauribile del piacere della velocità e dell’osservazione del mondo da prospettive inedite, l’aereo è diventato, in guerra, strumento di morte.

Le immagini e la grande arte offrono sempre la possibilità di un giudizio sintetico sulla realtà e sull’uomo, se solo concediamo ad esse un tempo adeguato per osservarle.

 


 A cura di:

GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.

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