Dissipatio H. G.

AUTORE: Guido Morselli

EDIZIONI: Adelphi

Nel 1973 sul mondo diviso in due dalla guerra fredda incombe la paura della catastrofe nucleare, con il connesso annientamento dell’umanità. In questo clima Guido Morselli scrive il suo ultimo libro, Dissipatio H.G., ricevendo l’ennesimo rifiuto dagli editori. Pochi giorni dopo la restituzione di due manoscritti, Morselli si suicida. Impossibile valutare il peso di questa circostanza, in ogni caso nel romanzo, per una volta scopertamente autobiografico, ha grande spazio il progettato suicidio del protagonista .

Nella notte tra il sabato  e la domenica, tra il primo e il secondo giorno di  giugno di un anno imprecisato, accadono due cose: il protagonista mette in scena in tutti i particolari il proprio suicidio, all’interno di una caverna montana, per poi rinunciarvi; dal mondo sparisce ogni traccia degli esseri umani. Tutto questo si scopre per gradi, retrospettivamente, nel lungo monologo in cui è risolta la narrazione, condotta in prima persona dall’unico rappresentante superstite dell’umanità. Che voleva andarsene soprattutto in quanto ‘fobantropo’ e viene paradossalmente accontentato dalla sparizione di tutti gli altri. Unico salvato o solo escluso dall’universale salvezza? In effetti, se il titolo, Dissipatio Humani generis, viene da Giamblico, illuminante risulta un’altra citazione, da Salviano da Treviri che, nello scritto De fine temporum, parla di una auspicata ‘sublimatio’ generale: Mundum permanebit. Viri, mulieres, pueri, humani viventes cuiuscumque aetatis, ordinis vel nationis raptim sublimabuntur.

La sopravvivenza del protagonista, che solo all’ultimo momento si era ritratto dall’autodistruzione, si staglia dunque in questa luce ambigua e, mentre vengono puntualmente smentite le ipotesi esplicative, assomiglia sempre di più ad un inesorabile contrappasso: dopo un primo momento nel quale egli appare quasi euforico per la sparizione di tutti gli altri (per nessuno dei quali esprime attaccamento o rimpianto), la solitudine si manifesta come fonte di angoscia invincibile, mentre i volti e i nomi affiorano alla memoria quasi casualmente, trasformando il monologo in dialogo con i morti. E i risentimenti si appianano, perfino quello nei confronti dell’odiata Crisopoli, ovvero Zurigo, la città che rappresenta al massimo grado la plutolatria del mondo contemporaneo.

‘Potrei votarli al Nulla. Peggio assai, precipitarli anzitempo in quell’ordinatissimo Chaos che è l’entropia. Invece, sono ottimista. Lontane frequentazioni teologiche m’incoraggiano a un’ipotesi lusinghiera per loro. Sin troppo. La loro scomparsa si risolverebbe in gloria. Sarebbe a scopo remunerativo.

Che soffrissero, che siano vissuti in mezzo a guai di ogni genere, mi sembra certo (…) il male li assediava da ogni parte, in ogni istante, in ogni loro atto, e anche pensiero, visto che l’attesa della sofferenza, la paura, è perfetta sofferenza. Ci si sono macerati, purificati, remotissimi dal saperlo, dal volerlo. Erano maturi i tempi per la ricompensa, i diritti dell’ecologia umana sarebbero stati infine riconosciuti, reintegrati. Il 2 giugno,  alle due antimeridiane, è il termine previsto. L’umanità angelicata in massa (faccio per dire) si solleva a un empireo.’

Qui si comprende che cosa separi la misantropia dalla fobantropia di Morselli. Quest’ultima poggia sulla percezione, acuta fino all’insopportabile, dell’immensità del dolore umano, insieme a quella della sua insensatezza. Il problema del dolore, dunque, nel rifiuto di qualunque spiegazione, di qualunque giustificazionismo.  Il tema, squisitamente leopardiano, non è l’unico punto di contatto con l’opera del recanatese: un altro è rappresentato dalla serena continuazione di tutto – perfino le cose sono intatte, e le macchine continuano a funzionare- dopo che gli uomini sono spariti. Eppure il tema ecologico è ben presente, soprattutto nella denuncia dell’imbruttimento del mondo, ultimo misfatto degli uomini, la cui sparizione, peraltro, realizza la soluzione più semplice del problema ambientale: l’annientamento della specie inquinante.  

Come già Leopardi, il libro di Morselli invita a compiere l’esercizio intellettuale, cui siamo ordinariamente riluttanti, di pensare il mondo come destinato a vivere dopo di noi, senza di noi, il che comporta la riduzione della Storia a un episodio fugace come un lampo nell’economia dell’Universo, e dunque l’umile accettazione della propria piccolezza. Nella Ginestra il recanatese esorta a recuperare questa umiltà come unico possibile fondamento della convivenza umana, a sua volta solo baluardo nei confronti di una Natura indifferente o nemica, comunque incommensurabilmente potente e non benevola.

Nel romanzo di Morselli il protagonista passa dalla solipsistica e amara autosufficienza iniziale alla pietas, mentre sul corrispettivo contemporaneo della lava leopardiana, l’asfalto delle strade appena velatosi di terriccio, vede spuntare cicoria e ranuncoli. Intanto aspetta con ferma certezza di tornare a incontrarsi con l’unica persona che davvero rimpianga, che davvero senta amica: un medico che l’aveva curato un tempo, e di cui tesse ripetutamente l’elogio. E proprio il contenuto di quell’elogio riapre tutte le questioni, impedendo ai conti di tornare e al lettore di imprigionare il romanzo nella formula del pessimismo cosmico. Al centro dell’amaro apologo che potrebbe essere letto come una svalutazione radicale di ogni possibile umanesimo, infatti, sta la figura del piccolo medico (eccezione, peraltro, in un mondo sanitario stigmatizzato come industria dell’infelicità) del quale si dice semplicemente che è umano.


A cura di: 

Giuliana Zanello è nata a Milano nel 1957. Si è laureata all’Università Cattolica del Sacro Cuore e insegna al liceo classico di Busto Arsizio. Collabora occasionalmente con IlSussidiario.net

CDOLogo DIESSEDove siamo