Pietro Verri: OSSERVAZIONI SULLA TORTURA

BUR Classici 2006, 208 p, € 09,00

 

Alessandro Manzoni: STORIA DELLA COLONNA INFAME

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Quando, nel 1776, Maria Teresa d’Austria abolì la tortura negli stati ereditari dell’Impero e subito dopo sollecitò il pronunciamento del Senato di Milano sull’estensione del provvedimento alla Lombardia, il Senato della patria di Beccaria si oppose.  Ce ne dà precisa notizia Pietro Verri, in una lettera al fratello Alessandro del 26 aprile 1777:

“Nel tempo in cui nostro padre scriveva  la consulta del Senato , che, interpellato dalla Corte se convenga estendere anche alla Lombardia la legge che S.M. ha pubblicato in Germania per abolire la tortura e limitare la pena di morte ai soli delitti atroci, sosteneva che la tortura è una piccola formalità, per cui non accade mai di chiamare un medico e che le obbiezioni vengono esagerate  dai filosofuzzi, ch’ei chiama novi isti humanitatis defensores,  in  quel tempo io stendeva il mio manoscritto. La consulta di nostro padre è stata trascritta e letta con ammirazione e lode esimia e i nostri Milanesi hanno ravvisato un buon patrizio in colui, che sosteneva in faccia alla Corte che l’indole de’ Milanesi esige simili procedure, senza della quali sarebbe sovvertita la società.”

Il manoscritto cui Pietro accenna, e che in realtà ha avuto un’elaborazione lunga e complessa, per i cui esordi bisogna risalire a parecchi anni addietro, è quello delle celebri Osservazioni sulla tortura, la ricostruzione del processo agli untori del 1630. Sostanzialmente completata nel 1777, l’opera, com’è noto, non fu pubblicata vivente l’autore, ma solo dopo la sua morte. Ma sentiamo ancora Pietro, in una lettera ad Alessandro del maggio 1776:

“Sul proposito della tortura io ho ammassata roba tale da farne un libro d’orrore. Ho avuto nelle mani l’excerpta del processo della Colonna infame: oh, caro Alessandro, che abbominazione! (…) Questa sarebbe l’occasione di trattare un punto di tanto interesse e che è al momento di moda, e unendo una storia provata da quel fatto assai celebre e sconosciuto ad un tempo alla teoria della tortura, che ha prodotto la tragedia, farei un libro che sicuramente scuoterebbe. “

Ricapitolando i fatti:l’Austria chiede l’abolizione della tortura, il Senato di Milano dice di no, sostenendo che non è un gran male e che, comunque, è necessaria per governare i milanesi, evidentemente inadatti ad essere trattati da uomini; Pietro Verri ha pronto, o quasi, un libro in cui della tortura ha mostrato l’inutilità, la dannosità ai fini giudiziari, la disumanità; e non in astratto, ma sulle carte di un processo reale, in quella stessa, concreta, realtà milanese .  Sorgono due domande: perché il Senato si oppone? Perché Verri non pubblica?

La contrarietà del Senato ha motivazioni squisitamente politiche, radicate nella volontà di opporsi al centralismo austriaco. Istanza, questa, dell’opposizione al centralismo, che sembra una costante della storia lombarda. Quale che sia il giudizio strettamente politico che ciascuno di noi può darne nel merito, la vicenda che andiamo ripercorrendo pare mettere in guardia una volta di più dal pericolo che essa finisca per far accettare di pagare prezzi troppo alti. Non meno sconcertante, per il lettore odierno, è l’altra motivazione che spinse il senato a   mantenere posizioni di retroguardia, insostenibili alla luce di sviluppi culturali che proprio a Milano avevano avuto la culla: la difesa dell’indipendenza della magistratura…

In ogni caso, Verri decise di non pubblicare. E certo, non doveva essere facile   prendere apertamente posizione contro un padre prestigioso, e su un punto che per quel padre poteva comportare discredito. Tuttavia, se consideriamo le parole con cui l’autore delle Osservazioni giustifica la sua scelta, restiamo ancora una volta sgomenti di fronte al ‘guazzabuglio del cuore umano’ di cui parla Manzoni. Leggiamole, ancora nella lettera al fratello Alessandro del maggio 1776:

“ma, amico, è venuta l’età del giudizio. Per poco fumo di piccola fama io non mi voglio inimicare il Senato; la opinione favorevole di esso che si travide fu cagione che nostro padre si sia piegato a un accomodamento con me. Da un giorno all’altro posso aver bisogno di questi signori, o contro lo zio o contro la madre e non attaccherò briga certamente col pane.”

E Alessandro, che ne pensa?

 “Ti replico che sarebbe un libro terribile: un esempio ben palpabile della crudeltà ed iniquità delle torture e degli errori, anzi carnificine e sentenze ingiuste de’ tribunali i più rispettati. Ma convengo che non devi stamparlo, appunto perché è troppo vittorioso il tuo assunto ed imprime una ben nera macchia nel Senato, né il fatto è antichissimo e dimenticato.” (aprile 1777)

Non era antichissimo e a che non fosse dimenticato provvedeva la colonna, ancora svettante nella contrada del Carrobbio, a perenne infamia degli sventurati Piazza e Mora. Del resto, nel sentire comune, la coscienza che quella colonna infamasse in realtà la città, come testimonianza di un momento di tragica e criminale follia collettiva, doveva essere diffusa, e da più parti si chiedeva di abbatterla: lo chiese al Senato il governatore della Lombardia Firmian, lo chiesero più volte i cittadini, adducendo anche il suo stato pericolante. Il Senato resistette tetragono nel diniego, finché il 1 settembre 1778 fu trovata abbattuta.

Anche l’uso della tortura nei procedimenti giudiziari venne infine abolito d’imperio da Giuseppe II nel 1784, e due anni dopo venne abolito lo stesso Senato.

Quanto alle Osservazioni del Verri, saranno pubblicate postume nel 1804, ormai inutili per il fine pratico che l’autore vi dichiara. Eppure, dobbiamo ricordare Manzoni, ricordare cioè che il cuore umano è un ‘guazzabuglio ‘, e Pietro Verri non sta tutto nella miseria delle motivazioni utilitaristiche con cui accettò di lasciar andare avanti senza agire una pratica giudiziaria di cui aveva  illuminato tutto l’orrore (perché, non dimentichiamolo, in questione non c’era solo il perdurare di un’ingiusta infamia a carico di vittime innocenti, c’erano anche atrocità presenti, quotidianamente perpetrate!). No, Pietro Verri non è tutto lì. Pietro Verri è anche il suo libro. Un libro di difficile lettura, nel senso che è difficile sostenere l’orrore in esso descritto; un libro pieno di umanità e di sdegno sincero, pieno anche di speranza: l’uomo ha la facoltà di liberarsi, gradatamente, dalle tenebre che lo avvolgono, è capace di giungere a vedere chiaro e di porre rimedio all’errore.  E’ anche un libro generoso, nel senso che punta l’indice accusatore contro l’arretratezza delle pratiche giudiziarie e in generale contro l’ignoranza, astenendosi dal condannare chi, succube di pseudoconoscenze , di quelle pratiche si avvalse a tormento e rovina di innocenti. Proprio su questo tipo di generosità poggia la speranza: in condizioni diverse quegli uomini, che sbagliarono a causa dell’arretratezza dei loro tempi, sarebbero stati invece capaci di giustizia.  Assunto ottimistico, che le stesse vicende editoriali del libro, così come si è cercato di riassumerle, tendono a smentire. Né la lucida e aggiornata intelligenza dell’autore coglie la contraddizione; o, cogliendola, non la rifiuta.

Dunque, se l’opera di Pietro Verri rappresenta il punto di partenza dichiarato di Manzoni, che intende  discuterne la tesi, per lui disperante, dell’ineluttabilità storicamente determinata del male commesso dai singoli, le vicende   editoriali delle Osservazioni illustrano de facto, per così dire, il rovescio logicamente implicito nella tesi manzoniana, negando l’ineluttabilità storicamente determinata del bene: non basta progredire per diventare meno ingiusti.

Nella Storia della colonna infame Manzoni, come è stato detto, mette in scena un processo al processo, assumendo la parte di accusatore della sentenza e dei giudici . E, come osserva Angelo Stella nell’introduzione all’edizione Einaudi del 1995, ‘ “l’avvistamento del Piazza da parte di Caterina Rosa, nei primi chiarori di una piovosa alba estiva, interagisce con le cadenze dell’incontro novembrino tra don Abbondio e i bravi “.

“La mattina del 21 giugno 1630, verso le quattro e mezzo, una donnicciola chiamata Caterina Rosa, trovandosi, per disgrazia, a una finestra d’un cavalcavia che allora c’era sul principio di via della Vetra de’ Cittadini, dalla parte che mette al corso di porta Ticinese (quasi dirimpetto alle colonne di san Lorenzo), vide venire un uomo con una cappa nera, e il cappello sugli occhi, e una carta in mano…”

Questo il celebre incipit, che richiama sostanzialmente quello dell’opera del Verri; non fosse per quell’espressione, per disgrazia, la quale, condensando da un lato, con potente catafora, l’oscuro precipitare degli eventi- mossa narrativamente logica, trovandosi Manzoni a ripercorrere vicende già note -, dall’altro pone immediatamente in risalto il contenuto specifico della rilettura manzoniana, ovvero il disastro umano che quella vicenda palesa ad ogni passo.  L’essere la tortura ammessa dalla legge, l’imperfezione delle procedure giudiziarie non bastano, come voleva il Verri, a giustificare quanto è avvenuto: a un esame attento degli atti si rileva come i giudici siano andati ben oltre i limiti delle leggi, come abbiano volutamente forzato ed inquinato il procedimento per non lasciarsi sfuggire la preda, dei colpevoli con cui placare la furia della folla. Uno solo degli accusati sfuggì alla morte, il solo che, essendo di classe sociale elevata, poté pagarsi una vera difesa e ispirò una certa cautela: in altre parole, là dove la legge, pur molto difettosa, fu applicata, ne seguì l’assoluzione , come a dire che l’ignoranza e l’arretratezza potevano rendere più difficile arrivare a una sentenza giusta, ma non lo impedivano. Questo, come si sa, l’assunto che Manzoni verifica nelle carte del processo e nella letteratura giuridica cui quei giudici facevano riferimento, braccando, per così dire, tutti gli elementi che possono condurre a confutare la tesi per cui, presi nella rete dei condizionamenti, non siamo responsabili del male che facciamo. Tesi che, per Manzoni come per chiunque abbia a cuore la libertà e la dignità morale, e non una tranquillità di coscienza a buon mercato, è disperante, come si diceva, implicando l’amara sentenza dell’Adelchi: non resta se non far torto o patirlo.

Le Osservazioni non sono un romanzo, ad onta delle virtualità romanzesche del contenuto. Pietro Verri fa parlare le carte e a queste intercala il suo sdegno, il suo sgomento, le sue considerazioni, con andamento saggistico. E la Storia manzoniana? Qui il discorso è più complesso. Rispetto ai Promessi sposi, spicca l’assenza di personaggi e situazioni d’invenzione. Nulla di propriamente romanzesco nella fabula, dunque, nella quale l’autore si attiene alla più stretta adesione al documento storico. Tuttavia, nelle carte non si trova tutto. Non vi si trovano, in particolare, le motivazioni delle scelte. Perché scelte vi furono, come abbiamo visto, non tutto, anzi forse niente di essenziale, fu determinato dai condizionamenti storico-culturali. Ebbene, sulla soglia degli animi, nei quali quelle scelte maturarono, di fronte alle volontà, il cui intervento l’esame delle carte rivela, si ferma la storiografia propriamente detta. A quel punto è necessario ricorrere alla letteratura, all’invenzione nel senso manzoniano del termine.  Per gettare uno sguardo nel guazzabuglio del cuore umano occorre essere poeti, occorre saper immaginare, saper vedere al di là del documento, occorre mettere sotto gli occhi del lettore un’umanità fragile e palpitante , terrorizzata e crudele, a volte anche grande. Come la sua. Un’umanità il cui destino è di imbattersi ad ogni passo, anche dentro il più insignificante quotidiano,  in questioni capitali, di portata universale; di mettere in moto, se vien meno la sorveglianza morale, per banale sciocchezza e superficialità, la macchina della tragedia.

Come accadde ad una donnaccola ignorante e pettegola, che aveva il brutto vizio di spiare la gente dalle finestre e fare congetture; come accadde quel mattino a Caterina Rosa. 

 

A cura di:

Giuliana Zanello è nata a Milano nel 1957. Si è laureata all’Università Cattolica del Sacro Cuore e ha insegnato al liceo classico di Busto Arsizio. Collabora occasionalmente con IlSussidiario.net

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