Il Jazz, questo sconosciuto…

 

Non sono solito mettere le mani avanti, ma ad uno scritto come quello che state per leggere devo fare tre brevi premesse.

  1. Anacronismo: parlare oggi di jazz – poniamo - a dei ragazzi equivale a parlare di Napoleone, di Giulio Cesare o degli antichi Egizi, scegliete voi. In ogni caso di qualcosa di molto, molto lontano.
  2. Gigantismo: parlare di cos’è il jazz in un breve articolo è come se dovessi parlare delle montagne. Oppure: fammi un riassunto del genere umano. Ecco. Diciamo che è un mondo sterminato e ricchissimo.
  3. Linguaggio: questo è il vero fulcro della questione. Per moltissimi oggi ascoltare un brano ascrivibile al jazz è molto simile al vedere i simboli della lingua coreana o a sentir parlare un dialetto centrafricano. Non c’è più familiarità con questo linguaggio.

Bene, finita la lamentela iniziale, qualcosa dovrò pur scrivere sul genere che – ok mescolato ad altri, ma – ha dato origine ad una serie incredibile di stili, ha influenzato la maniera di cantare, di improvvisare, di comporre di moltissimi artisti, che ha ripreso ed affinato il concetto di improvvisazione e di virtuosismo come forse nel passato solo Bach, Mozart e Paganini (mi perdonino gli altri).

Credo che per la musica non-classica non ci sia un genere importante ed al tempo stesso così poco ascoltato come il jazz. Spesso grandi e piccini lo liquidano come ‘troppo difficile’, ancora più spesso senza nemmeno tentare di ascoltare. Tutti parlano di ‘stile jazzato’ probabilmente senza sapere cosa stiano dicendo. Vero è che, soprattutto oggi, è una musica che richiede un po’ d’attenzione, ma pensate che negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, cioè prima della Seconda Guerra Mondiale (e del rock’n’roll), il jazz era praticamente la musica da ballo per eccellenza. Le grandi orchestre dell’era dello swing… ehi un attimo, ma che cos’è lo swing? Stop, fermiamoci un attimo e facciamo un po’ di ordine, per quanto possibile. Lo swing è un concetto astratto solo per chi non lo possiede. Si tratta di un fenomeno indotto, nel senso che non esiste buon jazz senza swing, ma nessuno potrà insegnarti a sentirlo, se già tu non lo ritrovi dentro te stesso. La paroletta swing in inglese significa oscillazione, ma indica solo la parte più visibile del fenomeno. Lo swing è emozione allo stato puro.

Allora, occorre per forza un esempio concreto fruibile da chiunque. Dovete andare a rivedere uno dei più famosi cartoon della Disney, Il libro della giungla. Spero che almeno qualcuno di voi si ricordi la scena in cui le scimmie, dopo aver rapito il bambino Mowgli, lo portano nel loro villaggio e l’orso Baloo e la pantera Bageera vanno a riprenderlo. Re Luigi, l’orango capo, è seduto sul suo trono di pietra ed inizia la canzone, l’orso e la pantera sono nascosti per non farsi scoprire. Ma Baloo, attratto irresistibilmente dalla musica esce allo scoperto per ballare con le scimmie ed alla fine viene smascherato e scoperto. Ecco: c’è un momento in cui Baloo capisce che non resiste più e ballonzola tutto seguendo il ritmo: quello è lo swing! La musica che l’orchestra suona in quella bellissima scena è jazz, del tipo che viene denominato DIXIELAND. E quali sono le caratteristiche principali? Un ritmo continuo e saltellante, alcuni strumenti (in particolare contrabbasso e batteria, ma anche il pianoforte) che fanno da base agli strumenti principi del genere, gli strumenti a fiato: sassofono, tromba (o cornetta), trombone, clarinetto. Per farvi un’idea più approfondita di questo genere, potete ascoltare qualunque disco di Louis Armstrong, o Bix Beiderbecke, o Benny Goodman.

E dove e quando nasce tutto ciò? A New Orleans verso la fine dell’800. Ma cosa accadde? Meglio di come lo potrei raccontare io, ce lo racconta Omero Barletta in un agile libro uscito alcuni anni fa, A qualcuno piace caldo, edito da Fornasiero Editore di Roma e a quanto mi risulta oggi introvabile. ”Lo stile degli ottoni (gli strumenti a fiato in ottone, n.d.r.) nelle bande musicali che venivano impiegate nelle parate era quello militare, ma l’ambiente e la mescolanza razziale operarono dei cambiamenti. (…) A poco a poco il musicista inserì nel proprio fraseggio musicale le proprie emozioni, compresi i gemiti e le grida (…) facendo delle note che sgorgavano dallo strumento un prolungamento naturale della propria voce. In questo modo si mescolava il sound spirituale della chiesa a quello laico della strada (il blues)…e si compiva il primo passo verso una piccola/grande rivoluzione musicale”.

Insieme a questo fattore ne aggiungo un altro io, di fondamentale importanza: il grande spazio lasciato in questa musica all’improvvisazione, che non è, si badi bene, suonare tutti insieme delle note a caso, ma è aver ben precisa in mente la struttura armonica del pezzo che sto interpretando, conoscerla così bene da poter inventare nel momento in cui sto suonando delle melodie assolutamente nuove. Insomma una composizione estemporanea, in tempo reale.

Difficilissimo anche consigliare brani singoli, forse ci aiuta (un pochino) nella selezione questo link al quale potete trovare una – senza dubbio personale – indicazione di 10 album immancabili per avvicinarsi al jazz. Ma potremmo compilare senza fatica almeno 10 liste così…  http://www.musicaesuono.it/i-dischi-fondamentali-da-avere-e-sentire/i-10-dischi-jazz-che-devi-avere-e-ascoltare/

In ogni caso qui ci sono 10 pietre miliari del genere, scelte in maniera piuttosto ampia, con il vantaggio di poter fare conoscenza con molti nomi importanti, artisti che hanno fatto la storia.

Me ne vado, servo piuttosto inutile, ma non prima di consigliarvi di rivedere anche l’altro capolavoro Disney, Gli Aristogatti, dove si percepisce anche la diversità culturale fra la musica classica ed il jazz. E per non perdervi nella vastità di questo mare magnum, giusto qualche nome e qualche link come piccola ed imprecisa bussola. Forse più facile partire dalle canzoni, con la grande voce di Ella Fitzgerald, il sassofono ed il cool jazz di Dexter Gordon, il be-bop di Charlie Parker e la sua straordinaria capacità improvvisativa, ed il pianoforte incredibile e drammatico di Bill Evans. Buon viaggio, davvero.   

Walter Muto

 


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

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