Le canzoni e la vita che va verso il nulla

La grande alternativa nella vita dell’uomo è trovarne la direzione, cioè il senso. Per chi non la soffoca, l’inquietudine resta sempre, ma la partita si gioca fra l’ipotesi che ci sia un destino buono che conduce l’esistenza oppure il dramma di una vita senza senso. La letteratura e di conseguenza anche le canzoni si sono occupate abbondantemente di questo importante, direi fondamentale tema. Basterebbe rileggersi la famosissima poesia dedicata a George Gray nell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters per rendersi conto della posta in gioco.

Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vano desiderio —
una barca che anela al mare eppure lo teme.

Passando alle canzoni, ce ne sono sicuramente molte più recenti che trattano questo tema, una su tutte la recentissima dal titolo Nichilismo del rapper trentenne Mezzosangue, ascoltatela per capire come un artista si pone con il linguaggio testuale e musicale di oggi di fronte alle sue domande.

Ma vuoi per dati anagrafici, vuoi per storia personale, sono alcune canzoni del passato che mi sono rimaste più attaccate per aver scandagliato il tema in profondità.

Una canzone in particolare mi ha colpito e mi colpisce ogni volta che la ascolto o la canto, perché ogni volta mette di fronte alla negazione di certe domande e la convinzione ferma dell’assenza di un significato nella vita. È una canzone tratta dall’album Radici di Francesco Guccini, 1972; si tratta della Canzone della bambina portoghese. Preferisco non dire niente, prima che la ascoltiate, seguendo bene la storia, incastrata ‘a cornice’ nel pensiero dell’autore. Ecco  Guccini che la esegue in playback, sulla base originale in una trasmissione televisiva (aperta parentesi: si è discusso tanto sui cantautori e la televisione, evidentemente ci andavano anche loro – chiusa parentesi).

La bambina portoghese della storia, di fronte all’oceano infinito sente quelle domande profondissime (è sicuramente una adolescente, sta indossando il suo primo bikini), ma poi le schiaccia, le cancella, le affoga nel sonno che la prende. E la conclusione di Guccini è amara: il vizio che ci ucciderà sarà vivere, non c’è speranza, non c’è una destinazione buona verso cui dirigersi.

Nello stesso album era presente anche La canzone dei dodici mesi, che affrontava attraverso la circolarità del tempo la scontatezza di una vita sempre uguale. E certamente in molte altre canzoni il cantautore Modenese ha toccato ripetutamente il tema, senza peraltro trovare risposta, se nell’ultimo album pubblicato, L’Ultima Thule, arrivava a cantare ancora, nella canzone omonima e finale del disco: “L’Ultima Thule attende al Nord estremo / regno di ghiaccio eterno, senza vita / e lassù questa mia sarà finita / nel freddo dove tutti finiremo.” Mi permetto – scusate l’auto-citazione – di riportare un mio breve articolo scritto proprio all’uscita di quell’album, a gennaio 2013 e pubblicato sul mensile Tracce; credo fotografi bene la questione in gioco. 

L’ultima Thule

È un cd che avrei comprato anche solo per il titolo. L’ultima Thule. Francesco Guccini. Perché mi è tornato in mente all’istante il momento in cui Don Giussani, a lezione in Università Cattolica, citava questa terra meravigliosa all’estremo Nord come l’estremo limite della ricerca umana. E poi 9 anni fa, in un editoriale, la vigilia di Natale: “il Natale rappresenta l’ultima Thule, l’ultimo passo che la natura dell’uomo può compiere: riconoscere che la manifestazione dell’Essere c’è, oppure avanzare verso la disperazione totale”. E una sorta di disperazione totale, o almeno di disillusione estrema è il contesto di questo disco, in cui la malinconia è la nota fondamentale, o talvolta lo sberleffo circense, il sarcasmo con cui l’artista cerca di convincerci che la vita è una pagliacciata, nel tentativo di sottacere la mancanza di un senso, che pure ha sempre ricercato.

Eppure il caro amico Claudio Chieffo gli aveva annunciato questa inevitabilità, fin dal 1984, quando gli aveva dedicato la bellissima Canzone per Francesco: “Non potrai scordarti di Me, sono la luna e il sole, sono gli occhi che incontri, sono le parole...” Allora ascoltiamo il presunto-ultimo Guccini, sperando che cambi idea e che ci doni altri lavori: è e rimane un grande artista e maestro di parole e musica. E riascoltiamo a fondo anche Claudio. Che il Senso l’aveva incontrato.

Ma c’è un altro cantautore spesso citato come emblema del nichilismo, del domani che magari sarà meglio ma chissà, eh già eccetera eccetera. Avete già capito, il cantante in questione è Vasco Rossi. Già nel 1993 (ma anche prima), nell’album Gli spari sopra la suggestiva ballata Vivere poneva drammaticamente la questione: il tempo passato acuisce la nostalgia, ma questa non serve ad affrontare il presente. La conclusione è una specie di nido in cui acquattarsi: “oggi non ho tempo, oggi voglio stare spento.”

Ma credo che il culmine della posizione umana che tende al nulla sia – pur forse nella volontà espressa di provarci ancora -, la recente Vivere o niente, che vale la pena ascoltare introdotta da una breve presentazione del cantautore che spiega il suo pensiero che in molti condividono.

Sì, perché Vasco – lo sappiamo bene – è uno dei più seguiti in Italia, è riuscito insieme a pochi altri a crearsi un vero e proprio esercito di fan, fra i più fedeli, fra i più agguerriti, grazie sicuramente alla forza di molte sue riuscitissime canzoni ed anche al riconoscersi nella sua posizione un po’ maledetta, un po’ trasgressiva, un po’ irridente e un po’ irredenta. Forse, con un facile gioco di parole, potremmo sostenere che Vivere o niente potrebbe essere stata anche Vivere è niente, viste le conclusioni che dopo quasi trent’anni da Vivere, non sono assolutamente cambiate.                                                  Lascio alla valutazione di chi ascolta quanto nelle canzoni di Vasco (e tutto sommato anche di Guccini) sia presente una vera ricerca, o quanto invece si sia trovato un tema drammatico ed affascinante al tempo stesso in cui i fan dell’artista si possano riconoscere (e per l’artista ci sia la possibilità di mantenere uno status tutto sommato comodo). In sintesi: le domande sono vere, ben espresse, ma cercano davvero una risposta?

In conclusione, mi sovviene un altro esempio che don Luigi Giussani faceva spesso, ricordando un episodio della sua gioventù in cui si era perso nel bosco di Tradate, e per ritrovare la via, gridava in cerca di aiuto. Diceva Don Giussani - paragonando questa sua esperienza al grido dell’uomo di fronte alle domande più importanti – che di fronte ad uno che si fosse presentato ad indicargli la strada avrebbe potuto avere due reazioni: la più ragionevole: fidarsi, oppure continuare a cercare la strada da solo. Ecco, spesso l’esperienza di alcuni artisti, letterati, cantautori mi sembra più simile a questa seconda opzione.

Ma per finire non mogi, in un piccolo crescendo, ci sono invece canzoni che buttano là uno spiraglio positivo, un punto a cui guardare, che può essere rappresentato a volte proprio da una canzone. Questa esigenza, questa apertura viene espressa alla sua maniera da un recente brano del cantautore Dario Brunori, in arte Brunori SAS, Canzone contro la paura. Quello che sei può essere poco, ma puoi guardare quel poco che non è niente, e da lì ripartire, cercare un’ipotesi positiva, un rapporto che ti rigetti dentro la vita, senza restare ad osservarla da fuori pensando che non ci sia una possibilità.

Walter Muto  

 


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

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