I Russi, la guerra fredda e noi oggi: tutto in una canzone

 

Premessa: la fine dei Police e l’inizio di Sting

La straordinaria esperienza dei Police termina nel marzo 1984, alla fine del Synchronicity Tour e dopo aver lasciato un’impronta indelebile nella storia della musica mondiale. Passa poco più di un anno ed il bassista e autore della maggior parte delle canzoni della band, Gordon Matthew Sumner, in arte Sting, esce con il suo primo album solista nel quale approfondisce temi e prende direzioni musicali multiformi. In breve: si circonda di musicisti jazz di altissimo livello e crea una miscela di generi che nei vari brani dell’album approdano a molte soluzioni musicali, dal jazz, al reggae, al rhythm and blues e mi fermo qui, andate a risentirvelo e, tolta la tara dei suoni un po’ datati, scoprirete un album davvero importante. Se volete, su Spotify c'è.

 

Un brano ‘più diverso’ degli altri  

Direzioni musicali diversissime, dicevamo ed infatti alla traccia 3 troviamo un brano alquanto anomalo per l’epoca – ed anche in generale, per un disco pop -, una canzone molto particolare, basata su un ritmo di polka lenta, potremmo dire ‘alla russa’ – e non sbaglieremmo. Prima di parlarne, leggiamone il testo ascoltandola e magari buttando l’occhio anche al VIDEO ORIGINALE , estremamente drammatico ed espressivo ed affidato a quel mago del bianco e nero che è Anton Corbijn.

Russians (Russi)

In Europa e in America, c'è un crescendo d'isteria

Condizionato in risposta alle minacce

Dei retorici discorsi dei Sovietici

Il sig. Krushchev ha detto, "vi seppelliremo"

Io non sottoscrivo questo punto di vista

È una cosa così ignorante da fare

Se anche i Russi amano i loro bambini

Come posso salvare il mio piccolo figlio

dal giocattolo di morte di Oppenheimer

Non c'è monopolio nel senso comune

Da ogni lato dello schieramento politico

Condividiamo la stessa biologia

A dispetto dell'ideologia

Credimi quando te lo dico

Spero che anche i Russi amino i loro bambini

Non c'è precedente storico

Per mettere le parole in bocca al Presidente

Non esistono guerre che possano essere vinte

È una bugia a cui non crediamo più

Il sig. Reagan dice noi ti proteggeremo

Non sottoscrivo questo punto di vista

Credimi quando te lo dico

Spero che anche i Russi amino i loro bambini

Condividiamo la stessa biologia

A dispetto dell'ideologia

La cosa che può salvare noi, me e te

È che anche i Russi amino i loro bambini

 

Il testo è abbastanza chiaro, credo non serva un lungo commento. L’autore non si schiera né da una parte né dall’altra, cercando di mettere insieme tutto il mondo nella consapevolezza che schiacciare il famoso bottone potrebbe portare alla distruzione totale. In una lunga intervista a Repubblica dell’ottobre 1986 Sting, fra le altre cose spiega il suo punto di vista, espresso in Russians. Un breve estratto, riferito al fatto che in Italia il cantautore Antonello Venditti aveva definito la sua canzone banale: “Non so se avete capito la mia canzone. Non è banale che uno fatto come me che abita in Unione Sovietica desideri una vita felice, un avvenire per i suoi figli. Ciò che è banale è il mondo, è banale che Reagan e Gorbaciov parlino di missili, di limitazione degli armamenti mentre noi abbiamo così tante armi puntate addosso. E' banale pensare, fingere di vivere in un mondo dove tutto è normale, invece il mondo è maledettamente folle. Basta che qualcuno prema un pulsante ed i miei ed i suoi bambini saranno morti. Ed io, sarò banale, ma non posso accettare tutto questo, e non smetterò di dirlo, di cantarlo fino a quando quei fottuti missili non se ne saranno andati.”

 

Un gioiello sfaccettato, ai tempi della guerra fredda

La canzone non è semplice, né ballabile, ma l’originalità del brano e l’attualità, insieme all’imponenza dell’argomento trattato fanno sì che Sting la scelga a novembre come quarto singolo dell’album riproponendola all’attenzione di tutti. Musicalmente il pezzo è un vero gioiello: la cupa tonalità di Do minore, un giro ostinato di accordi, la melodia riuscitissima ed in continua evoluzione. Il tutto ulteriormente impreziosito dalla citazione di un tema di Sergej Sergeevič Prokof'ev tratta dalla Lieutenant Kije Suite, Op. 60, composta nel 1934 come musica da film (per chi volesse approfondire,  QUI un’ottima descrizione dell’opera e QUI una esecuzione con partitura a scorrimento, il tema che Sting ha ‘usato’ è nel secondo movimento).

Erano i tempi della guerra fredda, per la verità nei suoi anni finali, ma lo spettro della catastrofe nucleare incombeva ancora ed alcuni episodi testimoniarono al mondo che poteva accadere anche per un tragico errore – più di due o tre, come ricorda questo articolo del Corriere della Sera e come metteva in luce il film WARGAMES, del 1983. Nel marzo del 1985, poi Michail Gorbačëv divenne Segretario generale del PCUS e ai primi di dicembre del 1989 Gorbačëv e il successore di Reagan, il presidente George H. W. Bush, al summit di Malta decretarono la fine della guerra fredda. Un paio d’anni ancora e l’8 dicembre 1991 avvenne la dissoluzione dell'Unione Sovietica.

È evidente che il  clima era caldo ed il tema sentito, tanto che Sting, candidato con il suo album al Grammy Award (assegnato al bellissimo No Jacket Required di Phil Collins), alla cerimonia di assegnazione decide di - o viene invitato ad - eseguire proprio quella canzone. È il 25 febbraio 1986, potete apprezzarne l’esecuzione, attorniato dai suoi musicisti QUI. Pochi giorni prima Sting era apparso anche dalle nostre parti, come ospite speciale del Festival di Sanremo e propose la stessa canzone, favorendo fra l’altro anche una ripresa delle vendite, sia come singolo che per tutto l’album (sì, ahimé, c’era un tempo in cui la musica si vendeva e non la scaricavi gratis – chiusa la parentesi).

 

E oggi?

Oggi, a quasi quaranta anni di distanza, pare di essere tornati alla stessa follia, con una terribile partita a scacchi giocata sopra le teste dell’intera umanità. Ed allora Sting riprende la canzone e la ripropone, eseguendola in versione acustica e riproponendo al mondo le stesse, lancinanti domande. Diciamocelo, in questi tempi in cui ci si ruba click a vicenda, sicuramente c’è stata da parte dell’artista anche una componente di ricerca di visibilità. Tuttavia è stato questo il modo di riconsiderare una grandissima canzone e fare i conti con un ricorso storico con cui ognuno avrebbe volentieri fatto a meno di riconfrontarsi. Al tempo stesso fa bene ricordare, per evitare di commettere gli stessi errori e cercare di non commetterne di nuovi e più grandi.                        

Walter Muto


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

CDOLogo DIESSEDove siamo