Italia, cantautori e rapper: ma c’è poi così tanta differenza?

Spunti per un lavoro che poi, però, deve fare ciascuno

Se si vuole comprendere la contemporaneità, occorre rivolgersi a chi la narra. Ovviamente ci sono tanti modi per farlo – sto ovviamente parlando di raccontare in musica, questo è il mio campo di applicazione. Si può trovare il cantautore di stampo più tradizionale, che magari si accompagna con il suo strumento (scegliamo dal mucchio Brunori Sas e Ultimo, giusto per prendere due esempi, il primo più esistenzial-ironico, il secondo più sentimentale). Oppure l’interprete, generalmente più pop ed affidato, oltre che naturalmente alle canzoni, soprattutto alle doti vocali: citiamo anche qui, giusto per fare qualche esempio, Marco Mengoni, Elisa, Diodato, Emma Marrone, anch’essi pescati dal mazzo senza voler far torto a nessuno. Oppure ancora si possono trovare artisti dal percorso multiforme come Jovanotti, o brani ancora più pop, ancora più leggeri, scritti più o meno alla stessa maniera di un post su tiktok ed in genere basati su facili slogan e quadrati inossidabili di accordi; stiamo aspettando, anzi forse è già arrivata, l’onda anomala dei cosiddetti ‘tormentoni estivi’, fra i vertici della leggerezza pop. E qualcuno qui mi dirà: ok ma i tormentoni estivi esistono da Abbronzatissima, Sapore di Sale e Pinne, fucile ed occhiali… Sì, risponderò io, ma quelle le aveva arrangiate Ennio Morricone.

Il rap: nuovo cantautorato?

Ma andando avanti, il mondo che forse racconta meglio, potremmo dire aderisce un po’ di più alla realtà che, volenti o nolenti, tutti viviamo è quello del rap, da più parti considerato a buon diritto parte del nuovo cantautorato. A dicembre scorso, in questo stesso contesto (scriverei “su queste pagine”, ma non ci sono pagine…), ho trattato piuttosto approfonditamente l’ultimo album di Marracash. Oggi voglio indicarvi due album recenti che mi hanno particolarmente interessato negli ultimi tempi e che affondano il colpo proprio a partire dalla contemporaneità, e non in maniera superficiale o affidandosi a luoghi comuni e frasi fatte, ma con una complessità e profondità di scrittura che merita l’ascolto. Sto parlando di Pornostalgia di Willie Peyote e Xenoverso di Rancore.

Non c’è spazio (e per la verità non sarebbe nemmeno utile, credo) per una recensione pezzo per pezzo. Metterei al centro più i miei pensieri e le mie osservazioni rispetto ai brani stessi. Vorrei invece provare a dare qualche indicazione di massima, perché il lavoro sulle canzoni e sui chilometri di parole contenuti in esse va fatto da ciascuno, mettendosi di fronte a questi oggetti sfaccettati e multivalenti.

Un tempo dedicato

Prima indicazione: come occorrerebbe fare con tutte le canzoni (e come mettendosi di fronte ad un quadro o ad una poesia), la fruizione ha bisogno di un tempo dedicato, specialmente quando si è di fronte a brani che, per scelta degli autori, vogliono significare e raccontare molto. Come certa musica classica, o certo jazz (ma in definitiva vale per tutta la musica), non si può concedere un ascolto svogliato o distratto da altro. Per aprire lo scrigno e capire cosa c’è dentro occorre mettercisi di fronte, mettere le cuffie ed ascoltare, che, lo ripeto ormai da quando l’ho capito tipo quarantacinque anni fa, è un’azione attiva e non subita.

 

 

Leggere le parole

Non so se è perché sono vecchio io, ma per comprendere canzoni come queste ritengo imprescindibile tenere davanti i testi mentre le ascolto. Quindi il procedimento è questo: aperta una finestra con Spotify e trovati artista ed album, aprite un’altra finestra con explorer o firefox o il vattelapesca di browser che usate voi e cercate www.genius.com. Non fatevi spaventare dall’inglese e nella finestrella di ricerca in alto a sinistra (Search lyrics and more) scrivete quello che state cercando. Sì, “and more”, perché in questo fantastico sito trovate, oltre ai testi delle canzoni organizzati per album, molti altri utilissimi contributi: commenti alle canzoni, dichiarazioni dell’artista sull’album o su qualcuno dei brani,  collegamenti e riferimenti ad altre canzoni, pezzi di interviste in cui si parla degli aspetti trattati, insomma tanti spunti per meglio contestualizzare il lavoro e i testi e comprenderne slang e punti oscuri. Per stavolta vi aiuto io: A QUESTO LINK trovate la home page dei testi dell’album di Willie Peyote e A QUEST’ALTRO quelli di Rancore.

Due parole sugli artisti…

Willie Peyote, pseudonimo di Guglielmo Bruno, torinese, classe 1985, SUA PAGINA WIKIPEDIA, il suo nome d’arte è già uno dei giochi di parole che adora ed usa a bizzeffe nei suoi testi. Willie (diminutivo di Guglielmo, il suo nome di battesimo) viene unito allo sfigatissimo eroe dei cartoon, Wile E. Coyote, sempre perdente nei confronti del velocissimo roadrunner, l’uccello che qui da noi chiamavamo bi-bip (o beep beep). Solo che il coyote, si trasforma in peyote, sostanza allucinogena estratta da un cactus del Nordamerica.

Rancore, pseudonimo di Tarek Iurcich, romano, quattro anni più giovane di Willie, esponente del cosiddetto (da lui stesso definito) rap ermetico, PAGINA WIKIPEDIA CON QUALCHE ELEMENTO IN PIU’ .

…e sul loro lavoro.

Fonte genius (e le interviste lì riportate), vediamo come gli artisti stessi parlano del loro lavoro. Cominciamo con Willie, in un’intervista da www.rockol.it : “Il titolo è arrivato prima di lavorare al progetto. È il titolo giusto perché è esattamente l'opposto di Iodegradabile. Quell'album parla del tempo che scorre e di come non si riescano a fare tutte le cose che si vorrebbero. Il lockdown ha ribaltato il nostro mondo frettoloso: non ci si riusciva più a immaginare il domani a causa del COVID. E così ci siamo guardati indietro. Questo perché la nostalgia, forse, custodisce davvero quello che amiamo. I vecchi film, i vecchi programmi, i vecchi dischi, in una società in cui tutto è rapidissimo e si sgretola, rimangono. Perché fanno parte di quello che siamo”.

Più articolato il pensiero ed anche lo schema narrativo di Rancore, che su instagram lanciava così il nuovo lavoro: “Scrivo a te lettore sicuramente proveniente dall'Universo, nella consapevolezza che questa non è la fine del racconto ma solo l'ennesimo tentativo di provare a spiegare ciò che è inspiegabile. Scrivo a te perché io sono stato nello Xenoverso e mi sento in dovere di raccontartelo. Ho viaggiato per molti anni e in questi lunghi viaggi ho raccolto testimonianze e accumulato più informazioni possibili su quello che esiste fuori dal nostro Universo.(…) Ho visto diversi tempi, diversi spazi, ho vissuto diverse versioni di me, sono stato un bambino come un adulto, ho vissuto il passato come il futuro. Ho incontrato tante vite che mi hanno raccontato tante storie. Mi hanno chiesto di portare con me i loro messaggi”. Rancore ha ribadito più volte che l'Universo è tutto quello che conosciamo e accettiamo, mentre lo Xenoverso è tutto quello che abbiamo dimenticato, che rigettiamo o che dobbiamo scoprire, riassumendo in una parola, il Mistero. La guerra è quindi questo eterno contrasto tra razionalità e sconosciuto, dove l'uno cerca sempre di domare l'altro.

In un’altra, lunga intervista rilasciata ad AGI, Agenzia Italia, Rancore va ancora più al fondo: “Xenoverso è tutto ciò che non conosciamo e tutto ciò che non abbiamo mai esplorato, in questo disco ci sono tante cose che io non avevo mai esplorato. Ad esempio, per me, uno che porta il nome Rancore, fare una canzone che abbia come tema la felicità è sicuramente uno xenoverso, perché non c’ero mai entrato in quell’argomento, è lì la sfida, è lì che divento un messaggero, quando affronto un tema che è semplicissimo ma allo stesso tempo è il più complesso di tutti da descrivere.”

Mondi articolati, fiumi di parole

Ecco, il lavoro adesso spetta a voi, a chi ci si metterà davanti con tutti gli elementi per poter partire; io ho pensato a prepararvi il bagaglio, per chi vorrà comincia il viaggio. Viaggio che passerà attraverso le lettere dal futuro di Rancore, la storia dell’ombra e del suo rapporto con il corpo (Ombra, ricordate Peter Pan?), la lotta fra filosofi di Federico (che poi è nientemeno che Nietzche), le 507 parole (esatte) di cui è fatta Le rime (Gara tra 507 parole), la mela e le sue metafore in Eden  e le domande profonde della finale Io non sono io.

In Willie Peyote invece la critica di una certa ipocrisia è esposta in quella sorta di manifesto programmatico che è Fare schifo: “Tutto insieme non lo riesco a elaborare / Fammi scendere, mi vien da vomitare / Questa giostra vuole il sangue per girare / Quindi fare schifo è quasi un dovere morale”. E nella successiva quartina di rime, affidata all’ospite Michela Giraud: “In un'epoca in cui tutti vogliamo essere migliori / E tutti siamo prigionieri dello sguardo degli altri / Darci la possibilità di fare schifo / È un atto rivoluzionario”.

Il resto è davvero il viaggio che ognuno deve fare se vuole entrare in questi due articolati mondi. Mentre scrivo mi sovviene un’ultima considerazione ed un aforisma straordinario, un suggello con cui chiudere. Siamo di fronte a due artisti che scelgono di raccontare, di mettere le mani, il cuore e l’istinto nella contemporaneità e descriverne, giudicandoli, molti aspetti. Tuttavia, mi pare singolare che nel fare questo sviluppino l’uno una forte nostalgia per i particolari di un mondo che non c’è più e l’altro una narrazione ambientata in un mondo che non c’è ancora. Ed ecco l’aforisma che è apparso da solo e che chiudendo metto in comune con voi, grazie al genio pungente di Woody Allen, che cito a memoria, senza scomodare google: “Ho passato metà della mia vita ad immaginare il futuro, e l’altra metà a rimpiangere il passato. Avrò vissuto in tutto un quarto d’ora. Ed ero a letto con l’influenza”. Meditate, gente, meditate… e buon lavoro a tutti.

Walter Muto    

 


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

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