Il Ministro dell’Istruzione ha proposto recentemente la sperimentazione volontaria della riduzione del percorso della scuola superiore da 5 a 4 anni per le 100 prime classi di 100 scuole autonome su circa 10.000.


Per i ragazzi il tempo-vita e il tempo-scuola sono sempre più lontani
Le motivazioni della proposta sono due: rendere più omogeneo il percorso dei giovani studenti italiani a quello dei loro coetanei europei; contrastare l’abbandono scolastico. Alle spalle sta la percezione del tutto realistica che il tempo-scuola e il tempo-vita dei nostri ragazzi si stiano divaricando. Peggio: il tempo-scuola è vissuto, più salgono in età,
come un tempo-a- parte, un tempo artificiale. Perciò i ragazzi perdono interesse al sapere, si annoiano, fino ad arrivare a comportamenti anomici.
Psicologi e pedagogisti si affannano a cercarne le cause oscure, ma la verità è più banale e più profonda: i nostri ragazzi si annoiano in questa scuola, ci stanno male. La vita reale sta altrove. Ed è certamente per farli entrare prima nella vita reale che il Ministero ha autorizzato la seconda sperimentazione.


Un po’ di storia: da Luigi Berlinguer a Berlusconi. Il diktat dei sindacati
Ma già la Legge 30 del 10 febbraio 2000, voluta da Luigi Berlinguer, aveva introdotto una riduzione del tempo-scuola con la formula del 7+5: 7 anni di scuola di base, 5 anni di scuole media superiore. La vecchia scuola media unificata veniva abolita, i primi 2 anni erano assorbiti nella scuola di base. I ragazzi sarebbero usciti a 18 anni. Il Governo
Berlusconi, insediatosi un anno dopo, cancellò la legge, sotto diktat dei sindacati della Scuola media.
La legge Berlinguer, pensata per migliorare la condizione degli utenti, diminuiva il numero di cattedre e perciò entrava in conflitto con gli interessi degli addetti e dei loro sindacati. Il Governo Berlusconi si schierò con questi ultimi: i ragazzi non votano, gli insegnanti sì!

Quale sapere trasmettere
Tuttavia, quand’anche la Legge 30 fosse entrata in vigore, si sarebbe trovata davanti alcuni macigni non facilmente aggirabili. Essi stanno ancora lì. Il primo è quello dei contenuti del sapere di cittadinanza e di civiltà che la scuola – cioè le generazioni adulte – decide di passare come il testimone della staffetta nelle mani delle generazioni nuove che vengono avanti.

Almeno dal 23/24 marzo 2000 il Consiglio europeo di Lisbona, al fine di costruire “l’economia basata sulla conoscenza più forte al mondo”, propose di organizzare la trasmissione del sapere ai nostri ragazzi attorno a 8 competenze-chiave, nella prospettiva del Life-Long Learning. Dopo 8 anni, il Ministro Fioroni le sintetizzò in quattro aree: Lingua e linguaggi, Storia, Matematica, Scienze.


Il passaggio dalla scuola Auditorium alla scuola Laboratorium
Una tale sintesi richiedeva una riconcentrazione del sapere in poche “materie” e, di conseguenza, la riduzione della parcellizzazione patologica degli orari di apprendimento/insegnamento. Si doveva passare dall’Auditorium al Laboratorium. Questa trasformazione avrebbe dovuto portare a un nuovo modo di insegnare la Lingua
italiana – che i nostri ragazzi stanno perdendo – fondato su Laboratori, in cui leggere i classici, riassumerli per iscritto, scrivere in proprio. La storia della letteratura, inflitta con fanatica persecuzione mnemonico-burocratica, sarebbe entrata nella Storia: economica, sociale, culturale e politica. Così finalmente gli insegnanti e i loro alunni, non più schiavi di programmi enciclopedici, avrebbero trovato il tempo di percorrere a occhi aperti la Storia del ‘900 sconosciuto fino al 2017…


La noia delle lezioni-conferenze
Il secondo macigno era ed è quello dell’organizzazione tayloristica degli orari di apprendimento/insegnamento, che prevede un susseguirsi vorticoso di lezioni-conferenze stampa ogni giorno, dagli anni 11 agli anni 19 di ciascun alunno. Sistema ereditato dall’intera tradizione scolastica francese e tedesca, legata alla necessità di costruire una
cittadinanza obbediente per la fabbrica e per l’esercito. Gli effetti di noia, di scarso rendimento, di fuga, di alienazione sui nostri ragazzi sono clamorosamente documentati.


L’aspetto quantitativo del sapere
Ma, ecco il terzo macigno, l’ideologia enciclopedista, che assegna alla quantità di sapere acquisito l’emancipazione individuale, ha portato alla costruzione di un gigantesco Curriculum di materie e di ore. Ancora oggi, a più di 150 anni dalla Legge Casati del 1859, l’orario della scuola italiana arriva ad oltre 1.200 ore per 13 anni, mentre in Europa ci si aggira attorno alle 900 ore per 12 anni. Non perciò i risultati sono migliori, come d’altronde documentano le ricerche Ocse-Pisa.

La scuola media, buco nero del sistema
Il quarto macigno è quello dell’Ordinamento, cioè la partizione del sistema scolastico secondo i cicli di età. Il sistema si è assestato su tre cicli: elementare, medio, superiore. L’evoluzione economico-sociale e culturale ha tuttavia generato – già a partire dalla fase più avanzata della rivoluzione industriale fino alla terza/quarta rivoluzione industriale
in corso – una nuova antropologia, che ha scombinato i ritmi e i cicli evolutivi.
Sta sotto gli occhi di tutti la contrazione di quel periodo, che corre tra la fine dell’infanzia e l’inizio precoce dell’adolescenza. La Scuola media è la prima vittima di questa trasformazione. È diventata il buco nero del sistema, dentro il quale i ragazzi si perdono precocemente e spesso per sempre, essendo improvvisamente catapultati in
un’organizzazione didattica parcellizzata, sovraccarica di materie e di ore. Ecco perché il 7+5 di Luigi Berlinguer faceva scomparire la scuola media, rendendo più dolce la transizione all’adolescenza.


La “Buona scuola” di Renzi è fallita. I macigni restano
Qual è, dunque, dentro il quadro appena descritto, il destino prevedibile della sperimentazione proposta dal Ministero? Incerto e inutile, se non si rimuovono i macigni sopra descritti. Non saranno rimossi. La Buona scuola di Renzi ha appena consumato il proprio fallimento. Fedeli al dogma del numero di ore intoccabili, si finirà per comprimere nel
quadriennio il numero delle ore attuali del quinquennio, che oggi vanno dalle 27 settimanali in prima Liceo alle 32 ore settimanali – 35 nei Licei artistici – degli ultimi tre anni?
Le obiezioni che vengono fatte alla sperimentazione lamentano il calo di quantità/qualità dell’offerta formativa o, anche, la subordinazione alle esigenze del mercato del lavoro. In realtà, sono conservatrici, perché legate ai dogmi-macigno di cui sopra. Paradossalmente, in base ai loro presupposti, si potrebbe richiedere un ulteriore aumento degli anni di permanenza dei ragazzi nel ciclo superiore? Rimanere fino a 20 anni non sarebbe meglio?!


La sperimentazione è inutile
In ogni caso, la previsione più realistica è quella dell’inutilità e inefficacia della sperimentazione proposta. È vero: le scuole italiane all’estero hanno dovuto abbassare a quattro anni, sennò non avrebbero retto la concorrenza con quelle del Paese in cui sono insediate. E le ore? Poiché la legge, che nessuno vuole cambiare, obbliga alle ore del
quinquennio, nel quadriennio sono state aumentate da 30 a 36. Però, con furbizia tipica, i minuti di tali ore sono stati ridotti: la grande riforma geoastronomica consiste nella riduzione delle ore a 45 minuti!

E qui torniamo al punto: chi avrà la forza culturale e politica per
spezzare il blocco storico conservatore nella scuola, che impasta
amministrazione scolastica, insegnanti, sindacati, famiglie, pedagogisti,
psicologi, intellettuali? Se l’economia della conoscenza è il futuro, il
Paese le volta ostinatamente le spalle.

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