Dal primo settembre si rimette in movimento una vecchia macchina cigolante e arrugginita di una fabbrica fuori tempo: è quella del sistema scolastico. Nel giro di pochi giorni le aule si riempiranno nuovamente di circa otto milioni di ragazzi, dopo un periodo abnormemente lungo di vacanza. Anno scolastico nuovo, sistema scolastico tuttora ottocentesco.


Le ragioni non riconosciute di un fallimento
Tre anni fa ne venne annunciata una riforma radicale: “la Buona scuola”. A tre anni di distanza, i suoi promotori sono costretti ad ammettere che qualcosa è andato storto, anzi: la riforma è “andata a male”. Tuttavia, i protagonisti – per primo Renzi – sembrano non rendersi conto delle cause dell’ennesimo fallimento.
La tentazione di affermare che una riforma della scuola è impossibile è piuttosto forte. Ma rassegnarsi significa continuare a pregiudicare il futuro delle giovani generazioni. Meglio ragionare lucidamente sulle cause della sconfitta riformista. Forse sarà più facile rimuoverle e, in ogni caso, più difficile inventarsi alibi per l’immobilismo. Sì, perché il mondo “là fuori” non aspetta nessuno.


Valori, ordinamento, personale, assetto istituzionale e amministrativo
Il sistema scolastico si può rappresentare con un diagramma euleriano di Venn: un cerchio – quello dei saperi e dei valori – con il quale si intersecano altri tre cerchi: quello dell’ordinamento, quello del personale, quello dell’assetto istituzionale amministrativo, generando di sovrapposizione, quella saperi/valori, il nocciolo del sistema. E’ come dire che quest’area comanda su ogni altra.
In termini sociologici, si tratta della centralità degli studenti: delle loro necessità, dei loro bisogni, delle loro domande. Alla definizione dei quali non partecipano solo gli studenti e le loro famiglie, ma anche la comunità politica. Si tratta, infatti, di formare persone/cittadini o, se si preferisce, il lato pubblico delle persone. Perciò i saperi/valori sono definiti come saperi/valori di cittadinanza o saperi/valori di civiltà.


Le quattro “aree” e il resto
Da quasi vent’anni sono stati concordemente elencati a livello europeo, dopo il Consiglio europeo di Lisbona del 2000, come otto “competenze di cittadinanza”, “tradotte” in Italia come quattro aree: Lingua e linguaggi, Storia, Matematica, Scienze. Tuttavia, perché diventino saperi/valori effettivi occorre il secondo cerchio: quello degli Ordinamenti, cioè del curriculum e dell’organizzazione concreta della didattica.

E’ il passaggio decisivo, perché definisce le tappe dell’apprendimento/acquisizione, in relazione al tempo quotidiano e alle fasi di età della vita. La comunità tecnico-professionale degli insegnanti e del dirigente – il cerchio del personale – si struttura secondo le esigenze del curriculum. Per governare e tenere insieme il tutto, occorre un assetto istituzionale/amministrativo. E’ quello del quarto cerchio.


Molte nozioni, niente sapere di civiltà
Ora, cos’è che non funziona nel concreto sistema scolastico italiano? Il fatto è che non garantisce l’acquisizione delle quattro competenze di cittadinanza. Detto altrimenti: i nostri ragazzi sono invasi da molte nozioni, ma non accedono al sapere di civiltà. Le quattro competenze sono polverizzate in più di una decina di materie. Ciononostante:
parlano/scrivono sempre meno in Italiano; si muovono come sonnambuli nel tempo presente, poiché non assimilano la storia, in primo luogo quella del ‘900; dimostrano bassi livelli di sapere matematico e scientifico.

L’organizzazione dell’insegnamento è ispirata al taylorismo proto-novecentesco della fabbrica fordista. Conseguentemente l’insegnamento è pulviscolare. Il primo grave effetto è che non sicostituisce una comunità educativa di docenti. L’assetto istituzionale-amministrative centralistico-statale è la causa ultima di questo esito finale. Tutto si tiene logicamente e circolarmente.

Ciò che la “buona scuola” non ha fatto
La “Buona scuola” ha dato per scontato che il primo cerchio e il secondo funzionassero benissimo – i ragazzi sanno e l’organizzazione dell’insegnamento/apprendimento è perfetta – e che il problema fosse principalmente quello del personale docente precario. Così ha fatto un’immissione massiccia in ruolo di docenti, nella speranza di eliminare il
fenomeno del precariato, accumulatosi per vie di supplenze. Ha anche tentato di dare una maggiore efficacia all’autonomia scolastica, conferendo maggiori poteri ai dirigenti.
Ma, avendo adottato fin dall’inizio la cultura politica del sindacato – quella del primato degli addetti rispetto agli utenti – la Buona scuola è finita ostaggio dei sindacati. Così anche le parti tendenzialmente più innovative sull’autonomia – in realtà la riproposizione del Dgls. 275 dell’8 marzo 1999 sull’autonomia scolastica – sono state facilmente smussate e ricondotte al vecchio centralismo burocratico, il potere di reclutamento dei presidi ridotto a zero, i concorsi statali continuano ad essere l’unico modo di reclutamento possibile, generando nei loro tempi vuoti nuovo precariato.

La sinistra storica, politica e sindacale, non è ancora riuscita a percepire la profondità della crisi del sistema educativo nazionale. Sulle cause di questa ostinata miopia è già stato scritto molto. Una è politico-elettorale: in gioco sta circa un milione di voti del personale insegnante. Ma quella decisiva è culturale: nonostante la retorica martellante, la sinistra non ha ancora assimilato l’idea che l’educazione/istruzione è il motore della società e dell’economia. Il suo modello educativo è fermo alla seconda rivoluzione
industriale. Eppure Marx, a suo tempo, aveva scritto che la principale forza produttiva è l’uomo stesso.

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